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Popolazione: 163 milioni
Capitale: Dhaka

Bangladesh

Il Bangladesh (ufficialmente Repubblica Popolare del Bangladesh) è uno stato asiatico confinante per la quasi totalità del suo territorio con l’India, a eccezione di un piccolo tratto in comune con la Birmania.

Tipo di governo e politica recente

Con l’indipendenza dell’India e la costituzione del Pakistan nel 1947, la regione del Bengala viene divisa in due parti: quella occidentale, induista, che rimane sotto il governo indiano, e quella orientale, musulmana, che viene annessa al Pakistan, nonostante ci siano 1600 km di territorio indiano a separare le due regioni. Si trattava dell’odierno Bangladesh chiamato a quel tempo Pakistan Orientale.

La divisione del Bengala dà origine a un esodo di dimensioni massicce: milioni di indù migrano dal Pakistan orientale verso i luoghi di religione induista e milioni di musulmani, al contrario, vi si trasferiscono. Sebbene si presentino subito molti problemi di ordine politico, socio-economico ed etnico, i primi forti attriti tra Pakistan e la provincia orientale vengono alla luce nel 1952, in seguito alla nascita del Movimento per la lingua bengalese. Da questo movimento, nasce nel 1966, la Lega Awami (Lega Popolare Bengalese) che si batte per ottenere riconoscimenti culturali e politici della popolazione bengalese, che continuano a essere ignorati dal governo centrale.

Proprio nel ‘66 l’insoddisfazione popolare e il dissenso politico raggiungono livelli critici poiché, dopo aver negato l’autonomia, le autorità pakistane arrestano il leader della Lega Awami, Sheikh Mujibur Rahman, il quale viene rilasciato nel ’69 al termine di una rivolta popolare senza precedenti. La situazione si ripete un anno dopo, quando viene impedito a Mujibur di prendere mandato, nonostante il suo partito avesse vinto le elezioni. Nel marzo del 1971 Mujibur è arrestato una seconda volta e subito dopo, da parte del Pakistan ha inizio l’operazione militare Searchlight, atta ad annientare ogni nucleo sospetto di resistenza bengalese. La brutalità di quest’operazione militare contro la popolazione civile non ha paragoni nella storia dell’Asia meridionale. La guerra civile dura nove mesi, dopo i quali, in seguito all’intervento delle forze armate indiane, l’esercito pakistano si arrende e nel dicembre del ’71 il Pakistan orientale diventa lo stato indipendente del Bangladesh.

Dopo l’indipendenza si instaura una democrazia parlamentare, con Mujibur come Primo Ministro. La situazione politica non riesce a mantenersi stabile; nel 1975 il Primo Ministro è assassinato, s’innescano una serie di di colpi di stato, al termine dei quali sale al potere il generale Ziaur Rahman, fondatore del Partito nazionalista del Bangladesh (BNP), assassinato anch’esso dalle forze armate nel 1981. Con un colpo di stato, incruento, prende il potere il generale anti-comunista Hossain Mohammad Ershad che rimane al governo fino al 1990, anno in cui si dimette e in cui il Bangladesh diventa una democrazia parlamentare. Nel 1991 sale al potere la prima donna Primo Ministro della storia del Bangladesh, la vedova del generale Ziaur, Khaleda Zia, portando il Partito nazionalista nuovamente alla ribalta. Nel ’96 vince le elezioni un’altra donna, Sheikh Hasina, a capo della Lega Awami, il partito di cui il padre Mujibur fu fondatore. Negli ultimi 20 anni queste due donne si sono alternate al potere, rispettivamente a capo del BNP e della Lega Awami, senza riuscire a far fronte agli innumerevoli problemi di povertà della popolazione, ai disastri ambientali e alle carestie.

Il governo attuale è presieduto dal primo ministro Sheikh Hasina, dichiarato vincitrice delle elezioni nel gennaio 2014, elezioni boicottate dal partito di opposizione, il Partito nazionalista del Bangladesh, e dai suoi alleati. Nell’attuale governo l’opposizione non ha alcuna rappresentanza.

I diritti umani

In Bangladesh la condizione della popolazione per quanto riguarda i diritti umani è estremamente critica. Il governo non ha dato attuazione alla sua nuova linea politica per sostenere le donne vittime di violenza. Gli emendamenti alle norme che regolano il Tribunale del Bangladesh per i crimini internazionali hanno ridotto, ma non eliminato, il rischio di processi iniqui per persone accusate dei crimini di guerra del 1971. Il governo non ha fatto niente per garantire il diritto ai mezzi di sussistenza e alla terra delle popolazioni native degli altipiani di Chittagong. Sono state condannate alla pena capitale oltre 49 persone e almeno cinque uomini sono stati messi a morte.”

Nel Paese vige infatti la pena di morte e i condannati sono per la maggior parte sostenitori dell’opposizione. Un ex ministro del governo militare del Bangladesh è stato condannato a morte per crimini di guerra. Un tribunale speciale per i crimini di guerra ha riconosciuto Syed Mohammad Qaisar, 73 anni, colpevole di atrocità commesse durante la guerra d’indipendenza dal Pakistan nel 1971, durante la quale morirono tre milioni di persone. La corte ha confermato 14 dei sedici capi d’accusa, tra cui genocidio, stupro, estorsione, incendio doloso e tortura. Qaisar ha negato tutte le accuse. Il tribunale è entrato in funzione nel 2010 e ha condannato quindici persone, di cui tredici a morte. Una condanna a morte è stata eseguita. Secondo alcuni gruppi per la difesa dei diritti umani, il tribunale non rispetta gli standard internazionali e circa duecento persone, in gran parte sostenitori del partito islamico Jamaat-e-Islami, sono morte nelle proteste contro le sue sentenze.

In Bangladesh persiste il grave problema della tortura nei confronti dei detenuti nelle carceri, da parte sia delle autorità giudiziarie che militari. Le vittime sono arrestate per accuse di presunti crimini contro il governo: arresti di questo tipo sono effettuati dal Rapid Action Battalion, una sezione speciale anti-crimine e anti-terrorismo della polizia, creata nel 1979. In realtà si dovrebbe parlare non di arresti, ma di veri e propri sequestri di persona: delle persone prelevate dagli agenti del RAB, si perdono le tracce per periodi di tempo indefiniti: i detenuti sono torturati per giorni o per settimane, finché non confessano i crimini di cui sono accusati. Solamente dopo un’eventuale confessione la data dell’arresto viene comunicata e registrata (in una data posteriore) nelle centrali di polizia.

Una protesta in Bangladesh per chiedere la condanna a morte del leader dell’opposizione Abdul Quader Mollah. (A. Biraj, Reuters/Contrasto)

Le donne bengalesi subiscono vessazioni e umiliazioni sia in ambito carcerario che in ambito domestico, tanto che la violenza sulle donne è classificato come il primo reato nel Paese per numero di denunce. Organizzazioni per i diritti umani affermano che le autorità bengalesi non danno attuazione al piano, già annunciato e presentato ufficialmente, volto a “sradicare la violenza e l’oppressione nei confronti delle donne e dei minori, tramite l’erogazione di cure mediche, assistenza e consulenza legale alle donne e ai minori vittime di abusi”.

Altro grave problema riguarda le condizioni lavorative degli operai, soprattutto del settore tessile. Dopo il crollo del Rana Plaza a Dakha,  si è firmato l’Accordo sugli incendi e la sicurezza edilizia in Bangladesh (AISEB) tra diverse aziende e alcuni sindacati, che è stato ampiamente pubblicizzato e celebrato come un esempio di responsabilità sociale delle imprese. In realtà, l’accordo impegna unicamente le grandi multinazionali a partecipare con somme irrisorie per loro – 500.000 $ all’anno per i cinque anni di vigenza dell’accordo – per mettere in condizioni di sicurezza ed evitare gli incendi e il crollo degli edifici in cui sono presenti laboratori di abbigliamento dei loro fornitori. Le carenze dell’Accordo sugli incendi e la sicurezza edilizia in Bangladesh, sono alcuni esempi, tra molti altri, che dimostrano che i Principi Guida non servono a obbligare le multinazionali a rispettare i diritti umani. Le multinazionali si sono sempre opposte all’adozione di norme obbligatorie, che come dimostra ancora una volta l’Accordo del Bangladesh, sarebbero gli unici strumenti efficaci che possono consentire maggiore giustizia sociale.

Infine va segnalato il generalizzato ed altissimo livello di corruzione delle forze di polizia bengalesi: la polizia è vissuta dai comuni cittadini più come un nemico da evitare per il timore di taglieggiamenti, che come un organismo a cui richiedere protezione. Ciò rende virtualmente impossibile ottenere giustizia per chi non abbia la disponibilità e sia disposto ad elargire rilevanti somme di denaro. Tale peculiare situazione si inquadra in uno degli stati più poveri del mondo; metà della popolazione del Bangladesh vive con meno di 1,2 dollari al giorno e quasi un terzo è al di sotto della soglia di povertà.

Profughi, sfollati, rifugiati

Si stima che negli ultimi vent’anni ci sia stato un movimento di 40 milioni di profughi provenienti dal Bangladesh verso l’India, soprattutto verso lo stato di Assam, dove ormai i profughi musulmani costituiscono la maggioranza della popolazione, fatto che preoccupa le popolazioni autoctone, per questioni di lingua, cultura e diritti sulla terra. Il Bangladesh è soggetto a continue inondazioni, negli ultimi anni sempre più violente: quest’ultime e l’estrema povertà fa sì che il flusso di migrazioni, gestito in buona parte da organizzazioni criminali, sia praticamente continuo.

Bibliografia, linkografia, filmografia

Yanus Muhammad, Il banchiere dei poveri, Feltrinelli, Milano, 1999
Endrizzi Sandra, Pesci piccoli. Donne e cooperazione in Bangladesh, Bollati Boringhieri, Torino, 2002
Bangladesh – Amnesty International

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