Un giovane chiede asilo, fa un percorso di integrazione, sostiene un bell’esame di terza media, lavora come volontario. Pensa di continuare gli studi. Ma la sua domanda di protezione viene respinta. La sua insegnante di italiano si chiede: «Che senso ha tutto questo? Con che spirito posso iscrivere ai corsi CPIA nuove persone, altri giovani che non avranno futuro?».
di Mariella Zucca*
Ali, quando è arrivato a Capriglio ad agosto dello scorso anno, è diventato Ali Bangla. C’erano già Ali Siria e Ali Khan. Tanti Ali, tanti ragazzi da tanti Paesi diversi, ma tutti con la speranza nel futuro.
Quanto a me ho avuto la fortuna di conoscerli, di lavorare per insegnare loro la nostra lingua e facendo lezione ho iniziato, io, ad allargare la mia visione della vita.
Fra i tanti, Ali Bangla ha fatto un percorso incredibile di integrazione. Ha sostenuto l’esame di terza media ottenendo uno splendido 9 come votazione finale, ha lavorato come volontario presso alcuni Comuni dell’astigiano e pensava di continuare gli studi.
Pensava, sì, perché la sua domanda di protezione internazionale è stata ricusata. Ora farà ricorso, lui come molti altri.
Ma mi domando che senso abbiano la fatica di Ali Bangla, l’impegno delle persone che lo hanno seguito, il denaro che è stato speso per la sua integrazione, il lavoro degli insegnanti, se poi per lui e per altri non ci sono possibilità di rimanere in Italia.
E mi domando ancora con che spirito, io insegnante di italiano, posso iscrivere ai corsi CPIA nuove persone che si impegneranno, cercheranno di integrarsi come è loro richiesto: tanti Ali che io so non avranno futuro. Il mio lavoro è basato sulla menzogna.
Sono una dipendente statale: come può lo Stato chiedermi questo?
* insegnante di lettere-italiano CPIA 3 Torino, sede di Chieri
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