La Jungle di Calais, visitata ieri da una delegazione dei Vescovi francesi, rimane con Idomeni, in Grecia, il campo di migranti e rifugiati più grande d’Europa. Un campo dove tutto è provvisorio, perché oggi come ieri si accettano le condizioni di vita nella Jungle con un unico obiettivo: attraversare la Manica, prima o poi, anche se è sempre più difficile.
Idomeni, Grecia, 10.100 persone. E la “Jungle” di Calais, 5.200. Continuano a essere i due maggiori campi “irregolari” di migranti e rifugiati in Europa. Atene, è notizia di questi giorni, vorrebbe smantellare Idomeni entro metà giugno. Parigi intende farlo da tempo, dopo aver smantellato a forza la zona Sud della “Jungle” tra la fine di febbraio e la prima metà di marzo.
«Lo smantellamento ha causato un aumento di popolazione nella zona Nord – spiega Olivier Marteau, coordinatore del progetto-presidio di Médecins sans frontières (MSF) a Calais, che Vie di Fuga ha raggiunto nella città francese -. In totale ci sono meno persone, ma alla fine più persone si concentrano su un’area limitata. Dopo lo smantellamento, naturalmente, nella zona Nord sono rimasti tutti i problemi sociali e in particolare sanitari, ma si sono aggiunti quelli di intesa fra le diverse comunità nazionali, che hanno avuto una certa difficoltà a riorganizzarsi. Oggi per fortuna le cose vanno un po’ meglio».
Un solo pensiero, l’Inghilterra
Sono sudanesi, siriani, afghani, eritrei. Sono arrivati ai bordi dell’Europa continentale, all’imbocco dell’Eurotunnel, con un preciso progetto migratorio. E oggi come ieri accettano le precarie condizioni di vita nella favela con un unico obiettivo: attraversare la Manica, prima o poi, anche se è sempre più difficile.
«Tutti i giorni ci sono persone che arrivano e tutte le sere persone che ci provano. Qui ai loro occhi da sempre è tutto provvisorio. L’obiettivo è uno solo, l’Inghilterra», per ritrovare la famiglia, o una comunità di appartenenza magari già anglofona.
Oggi nel “campo” di Calais, dove ha preso piede, nonostante tutto, una vita sociale ed economica, si contano circa 5.170 persone (fonte MSF): 3.540 nella Jungle vera e propria, 1.470 nell’anonimo campo di container adiacente realizzato dalle autorità (ma dove per avere un posto letto occorre registrarsi) e 160 nel centro di accoglienza per donne e bambini.
Nel complesso, «il campo rimane al di sotto degli standard minimi internazionali». Le condizioni di vita sono più dignitose a Grande-Synthe, pochi chilometri ad Est, dove MSF ha montato un campo per rifugiati vero e proprio con piccole “baite” in legno, gestito dal Comune.
Quando la frontiera “funziona”
Il “perché” di questa situazione è stato riassunto nella Dichiarazione di Calais della rete europea Migreurop, diffusa nel dicembre dell’anno scorso: «Nella zona di Calais la doppia barriera giuridica del trattato di Le Touquet (del 2003, ndr) che stabilisce il subappalto alla Francia del controllo della frontiera britannica, e del regolamento “Dublino III” che costringe i richiedenti asilo a presentare la loro domanda nel primo Paese dell’UE in cui arrivano, rende impossibile a sudanesi, siriani, irakeni, eritrei, afghani di chiedere asilo nel Regno Unito».
Nel 2013 i richiedenti asilo in Gran Bretagna sono stati in tutto meno di 31 mila, nel 2014 32 mila. E nel 2015, mentre nel territorio dell’UE raddoppiavano rispetto al 2014, sono cresciuti appena del 20%, da 32 mila a 38 mila. Come a certificare (dati Eurostat alla mano) che certe frontiere chiuse “funzionano” piuttosto bene.
Del resto nei porti del Nord della Francia, fra il marzo 2014 e il marzo 2015 (ultimo dato disponibile del ministero dell’Interno di Londra), sono stati impediti 39 mila tentativi di passare in Inghilterra. Mentre sono 37 mila i migranti che la società Eurotunnel dichiara di aver “intercettato” nei soli primi sette mesi del 2015 sul sito del traforo sotto la Manica. (continua nella news successiva)
Collegamenti
Un “campo per esiliati” dal 1999 (la Dichiarazione di Calais, 18 dicembre 2015, in francese)
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