Negli ultimi mesi, a partire da luglio gli operatori del Danish Refugee Council avevano registrato un numero di respingimenti a catena in calo costante. Ma a novembre il dato è tornato a crescere: 103 casi sulle 1.128 testimonianze raccolte di respingimenti sommari (e illegali) dalla Croazia. In crescita percentuale anche i “pushback” di donne e minori. In tutto sono 22.550 i respingimenti informali in Bosnia registrati a partire dal maggio 2019.
Il numero dei soprusi e della vergogna “nel cuore dell’Europa” ha raggiunto quota 22.550: si tratta dei respingimenti sommari (pushback) dalla Croazia alla Bosnia registrati dal maggio 2019 al novembre 2020 dal Border Protection Monitoring (BPM) del Danish Refugee Council (DRC), la rete della società civile danese attiva in Bosnia-Erzegovina con team di protezione sociale e di assistenza sanitaria mobile.
Sono 1.128 i migranti che hanno dichiarato agli operatori del DRC di aver subito un pushback dalle forze di polizia croata nel solo ultimo mese di novembre. Fra loro, 103 hanno affermato di ritrovarsi in Bosnia dopo aver subito un respingimento a catena via Slovenia-Croazia.
Riguardo agli ultimi mesi, osservano gli operatori del BPM (i cui monitoraggi, appena aggiornati, sono i più affidabili sull’argomento), «il numero di respingimenti a catena è diminuito costantemente da luglio 2020, per poi aumentare di nuovo a novembre».
Fra i 1.128 respinti, sei su 10 hanno denunciato di aver subito ingiurie fisiche o aggressioni. A 905 sono stati confiscati beni ed effetti personali, a 23 sono stati tolti o bruciati i documenti e 647 hanno subito comunque trattamenti degradanti e disumani, anche se nell’ultimo mese non si sono registrati episodi di «violenza estrema», a differenza di ottobre.
Inoltre, prima di subire il pushback 91 migranti avevano chiesto esplicitamente asilo, 11 in Slovenia e 80 in Croazia.
Ma intanto continuano a negare
Tira le somme, con amarezza, il BPM: «È passato un altro mese ma i respingimenti continuano a essere sistematicamente utilizzati come strumento di gestione delle frontiere, nonostante il fatto che siano chiaramente illegali. Come minimo ci si aspetterebbero indagini su queste pratiche e misure concrete per fermarle. Invece, nonostante le migliaia di segnalazioni raccolte da operatori umanitari e da organizzazioni, nonostante gli orribili episodi di violenza registrati, nonostante il numero crescente di denunce legali presentate, le autorità croate continuano a negare che questi respingimenti siano in atto».
Rispetto ai mesi precedenti, novembre ha visto crescere fra i 1.128 respinti la percentuale di donne, 6% del totale, 71 persone, di minori, 9,5%, 53 ragazzi e 34 ragazze in viaggio con le loro famiglie, e di minori non accompagnati, 21, tutti maschi. I Paesi d’origine di questi migranti sono soprattutto il Pakistan, l’Afghanistan e il Bangladesh.
“Ci hanno gettati a calci nel fiume”: novembre 2020, la testimonianzaQuella che segue è una testimonianza resa da cinque migranti del Bangladesh e raccolta da un operatore del Danish Refugee Council nel centro di accoglienza temporanea di Miral il 3 novembre 2020. In cinque erano stati respinti sommariamente dalla Croazia il giorno stesso. “Abbiamo passato nove giorni nelle foreste croate e abbiamo raggiunto la strada numero 3 in Croazia, che si trova vicino al confine sloveno. Là siamo stati fermati dall’esercito (sic). C’erano cinque agenti in mimetica e col viso coperto. Ci hanno fermato armi alla mano, uno ha sparato in aria. Erano circa le otto di sera. Nel momento in cui abbiamo sentito lo sparo abbiamo iniziato a scappare. Ci hanno catturati cinque agenti. Subito abbiamo preso uno schiaffo, poi ci hanno perquisito e hanno preso i nostri cellulari. Dopo averci perquisito ci hanno ordinato di toglierci le scarpe e le giacche, dopodiché abbiamo dovuto metterci in fila uno dietro l’altro. Un ufficiale stava davanti alla fila, uno alla fine e uno al centro. Abbiamo camminato per circa un’ora senza scarpe, sulle rocce. Se parlavamo o ci lamentavamo ricevevamo uno schiaffo. Dopo un’ora siamo arrivati a una strada. Là abbiamo visto un furgone di polizia con due agenti in divisa blu. Ci hanno ordinato di salire. Abbiamo viaggiato per circa un’ora e mezzo, poi il furgone si è fermato. Pensavamo di essere arrivati e di essere espulsi, ma siamo rimasti nel furgone per circa due ore. Battevamo le pareti con le mani, urlavamo, chiedevamo aiuto ma nessuno apriva. Dopo due ore la porta è stata aperta da una persona in divisa nera, con una maschera nera sulla faccia. Ci ha tirati fuori dal furgone in modo brutale e violento. C’erano otto agenti in divisa scura, erano come divisi in tre gruppi. Il primo gruppo, due agenti, ci hanno messo in fila e più volte hanno usato l’electroshocker sulla nostra schiena e sulle nostre gambe. Poi siamo andati da quattro agenti che ci hanno preso a calci con gli stivali e picchiato con manganelli. Dopodiché due agenti ci hanno gettato nel fiume a calci. Era buio e faceva molto freddo. Tutto è durato circa un’ora. Bagnati, ci siamo diretti al centro di Miral e lì siamo stati accolti in un container, con vestiti asciutti e cibo. Erano circa le 15.30″ (Fonte: DRC, gennaio 2020). |
“Rotta balcanica, un disastro umanitario irreparabile?”“Mentre la preoccupazione espressa da funzionari di alto livello della Commissione Europea e gli impegni presi per indagare sulle accuse di respingimenti che si verificano alle frontiere esterne dell’UE possono essere rassicuranti, e mentre la sentenza più recente emessa dalla Corte di giustizia UE sui comportamenti dell’Ungheria è un altro passo nella giusta direzione, rimane da chiedersi: fino a che punto il danno arrecato sarà riparabile? E il Patto europeo sulla migrazione e l’asilo che è stato proposto (nel settembre 2020, ndr) imprimerà una diversa direzione, assicurando percorsi sicuri e legali a tutti coloro che sono in cerca di protezione internazionale?” (DRC, gennaio 2021). |
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