Calato il sipario sulla COP26 di Glasgow, il gruppo dei 46 Paesi “meno sviluppati” rimarca in particolare la propria delusione perché non è stata accolta la proposta di istituire la Loss and damage facility: un fondo che li aiuterebbe a contrastare, fra l’altro, l’aumento dei profughi climatici.
Diplomazia e amarezza: «Dobbiamo riconoscere che la decisione finale è ben lungi dall’essere sufficiente per affrontare la portata della crisi e per venire incontro alle esigenze dei nostri Paesi», anche se «lasceremo Glasgow sapendo che sono stati compiuti dei progressi…». Firmato, il Gruppo sul cambiamento climatico dei 46 Least developed Countries, cioè dei Paesi più poveri del mondo, che sono anche i più esposti alle conseguenze del climate change malgrado ne siano i meno responsabili.
Calato il sipario sulla COP26 di Glasgow, il Gruppo dei 46, per voce del suo presidente Sonam P. Wangdi, bhutanese, ha rimarcato ieri tutta la propria delusione perché nel patto finale non è stata accolta la proposta di istituire la Loss and damage facility (v. sotto, ndr) avanzata dai Paesi “in via di sviluppo” del G77 e dall’AOSIS, l’Alleanza dei piccoli stati isolani.
«La nostra gente – ha ricordato Wangdi – sta già subendo un’ondata crescente di perdite e danni causati dal cambiamento climatico. Abbiamo percepito un ampio riconoscimento di questa ingiustizia, ma si è fallito nell’affrontarla. Garantire che le nostre comunità siano aiutate nell’affrontare le perdite e i danni che la crisi climatica ci infligge rimane una priorità assoluta sul terreno».
Wangdi considera invece come segnali positivi il riconoscimento e l’avvio di un dialogo sui finanziamenti come decisione della COP 26, e i «progressi compiuti nell’ambito dell’obiettivo globale per l’adattamento».
Per periodi più o meno prolungati, nel 2020 i disastri ambientali (per il 98% di origine meteorologica) hanno messo in fuga all’interno dei loro Paesi 30,7 milioni di persone in tutto il mondo (dati di fonte IDMC). I Paesi più colpiti sono stati nell’ordine la Cina, le Filippiine, il Bangladesh, l’India, gli USA, il Vietnam, la Somalia, l’Honduras, il Pakistan e l’Indonesia. Almeno dal 2011 non si erano mai registrati così tanti sfollati ambientali (erano stati 24,9 milioni nel 2019 e 17,2 nel 2018).
La COP26, cioè la 26a Conference of parties delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico, si è chiusa sabato 13 dopo quasi due settimane di lavori, un giorno dopo la conclusione programmata. La COP 27 è già programmata per il novembre 2022 a Sharm El-Sheikh, in Egitto.
Loss and damage facility: uno strumento (anche) contro l’aumento dei profughi climaticiSecondo Legambiente, «l’Accordo di Glasgow conferma l’impegno dei Paesi più ricchi a garantire un aiuto finanziario, per la mitigazione e l’adattamento, di 100 miliardi di dollari l’anno per il periodo 2020-2025: 600 miliardi complessivi da elargire attraverso il piano proposto dalla presidenza britannica». Purtroppo però, come sottolinea l’associazione ambientalista in una nota, «nessun passo in avanti è stato fatto sulla creazione del Loss and damage facility. Si tratta del fondo per aiutare le comunità vulnerabili dei Paesi più poveri a far fronte ai danni e alle perdite dovuti ai disastri climatici, in modo da consentire una rapida ricostruzione e ripresa economica dei territori colpiti, evitando così anche il preoccupante aumento dei profughi climatici. Serve ora un forte impegno dell’Europa, mancato a Glasgow, per costruire una larga alleanza a sostegno del Loss and damage facility in modo che diventi finalmente realtà proprio alla “COP africana” del prossimo anno. Per Legambiente anche l’Italia dovrà fare la sua parte, sia promuovendo la facility, sia stanziando la “giusta quota” dell’impegno globale di 100 miliardi di dollari l’anno fra 2020 e 2025 per l’azione climatica dei Paesi più poveri: «Si tratta di almeno tre miliardi di euro l’anno che possono essere facilmente reperiti attraverso il taglio dei sussidi alle fonti fossili, da inserire al più presto nella legge di bilancio in discussione». |
OGGI/ Gli sfollati da disastri ambientali nel mondo alla fine del 2020
DOMANI/ Groundswell report: “Gli scenari? Dipendono da noi”Il Groundswell report 2021 della Banca Mondiale ha stimato il numero di migranti forzati che potrebbe prodursi all’interno dei Paesi di sei macro-regioni del mondo a causa del cambiamento climatico entro il 2050: 86 milioni nell’Africa subsahariana, 49 fra Asia orientale e Pacifico, 40 in Asia meridionale, 19 in Africa del Nord, 17 in America Latina e cinque fra Europa orientale e Asia centrale. Questo, secondo il Groundswell report, lo scenario prevedibile se mancheranno efficaci iniziative di contrasto al mutamento climatico e per lo sviluppo. Ma se si iniziasse oggi a ridurre le emissioni di gas serra, a sanare sperequazioni nello sviluppo, a ripristinare ecosistemi vitali e a supportare l’adattamento delle popolazioni, la previsione di 216 milioni di migranti interni entro il 2050 potrebbe ridursi dell’80%, a “soli” 44 milioni di persone. |
Collegamenti
Patto di Glasgow sul clima, il documento integrale (13 novembre 2021)
Altri commenti sugli esiti della COP26
UNHCR: “Ora necessario passare dalle parole ai fatti” – Fridays for future: “Esasperante e deludente” – Greta Thunberg: “Bla, bla, bla: il lavoro vero comincia fuori di qui” – WWF: “Finale deludente, ma una finestra resta aperta” – Climate action network: “Le nazioni ricche tradiscono i popoli vulnerabili” – Amnesty International: “Quelle scappatoie per le imprese ‘fossili'”
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