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Accoglienza: cifre (e dignità) ai minimi. Ma adesso c’è chi dice basta

Cresce il disagio del non profit impegnato nell’accoglienza che vede vanificati e umiliati la propria serietà e il proprio lavoro,  fra decreto sicurezza e bandi delle Prefetture. Il CIAC di Parma: «Richiedenti asilo “fuori dal SIPROIMI”? Noi non lasceremo andare via nessuno, ci opporremo con ogni mezzo. Un atto amministrativo non può interrompere percorsi di vita e di integrazione». Il CNCA: «I bandi per i CAS che vanno deserti? Noi non facciamo ‘albergaggio’…».

(Foto CIAC ONLUS).

 

Il 2019 si è chiuso con un totale di 91.424 migranti in accoglienza nel nostro Paese, in netta diminuzione rispetto a fine ’18, quando erano quasi 136 mila: in un anno, un crollo del 33%. A fine ’17, invece, gli accolti erano 184 mila. Dei circa 91.400 accolti allo scorso 31 dicembre, quasi 67 mila erano ospitati nei CAS, i centri cosiddetti “straordinari”, e nei centri di prima accoglienza (73% del totale), mentre solo 24 mila nei centri SIPROIMI ex SPRAR (27%).

Accoglienza ai minimi, insomma. Ma in queste settimane, nel “sistema” italiano di accoglienza rischia di andare ai minimi anche la dignità. Lo ha denunciato in questi giorni, fra gli altri, il CIAC di Parma. Che dalle colonne di Repubblica ha fatto conoscere la vicenda di Keyla, una giovane guineana di 22 anni con un bimbo di 2 anni e mezzo.

Keyla, in fuga dal suo Paese, vittima di tratta, è arrivata in Italia incinta. Ha presentato domanda d’asilo, ha imparato l’italiano, ha preso la licenza media, oggi segue un corso per OSS: «Tutte attività che però dovrà lasciare insieme all’appartamento gestito da CIAC con la rete Civiltà dell’accoglienza (nell’ambito di un progetto  SIPROIMI ex SPRAR, ndr) dove vive, per finire in un centro di accoglienza straordinario dove non potrà fare assolutamente nulla, se non attendere l’esito della sua richiesta di asilo».

Infatti il primo decreto sicurezza del governo Conte I (il n. 113 dell’ottobre 2018, convertito nella legge 132/2018 e mai modificato dal Conte II) ha stabilito che, oltre ai beneficiari di protezione umanitaria, anche i richiedenti asilo non hanno diritto ad accedere al SIPROIMI: per loro si prevede soltanto l’accoglienza nei CAS (o nei centri governativi di prima accoglienza).

Ma intanto il direttore di CIAC Michele Rossi avverte: «Noi non lasceremo andare via nessuno, ci opporremo con ogni mezzo a ogni trasferimento forzato. Un atto amministrativo non può interrompere percorsi di vita e di integrazione».

Se il CAS diventa un parcheggio

Il primo decreto sicurezza e il nuovo capitolato di gara per i servizi di accoglienza anch’esso del 2018 – si legge nell’ultima analisi di Openpolis e Actionaid sul sistema di accoglienza italiano, pubblicata a dicembre – hanno cambiato «anche la ragion d’essere dei CAS, che vengono trasformati in strutture dove i migranti devono attendere la decisione sulle richieste d’asilo, senza più avere nel frattempo a disposizione alcun accompagnamento all’autonomia e all’integrazione. Al taglio dei servizi, previsto dal nuovo capitolato di gara, si associa una drastica riduzione degli importi messi a disposizione per la gestione dei centri. Per di più tra i tre tipi di centro ora previsti (singole unità abitative, centri collettivi fino a 50 posti e centri fino a 300 posti) i tagli più consistenti coinvolgono proprio quelli che prevedono l’accoglienza diffusa in piccoli appartamenti, progetti nei quali è peraltro più difficile sviluppare economie di scala, come invece è possibile fare nei centri più grandi».

Prefetture in difficoltà (mentre l’integrazione può attendere…)

Il terzo settore ha reagito prima di tutto chiedendo la sospensione dei bandi delle Prefetture con vari ricorsi ai TAR, per esempio in Lombardia, Toscana, Campania e Friuli-Venezia Giulia.

Ma «indipendentemente dai ricorsi – si legge ancora nell’analisi di Openpolis e Actionaid – spesso i gestori hanno deciso di chiamarsi fuori dal sistema di accoglienza e, a un anno dall’approvazione del decreto sicurezza e del nuovo capitolato, risulta sempre più chiaro come questo rifiuto abbia causato per molte Prefetture un’effettiva difficoltà ad assegnare tutti i posti ritenuti necessari».

Cliccare per ingrandire: le Prefetture che almeno in un’occasione hanno ripetuto i bandi per l’accoglienza come previsti dal nuovo capitolato (ottobre 2018-inizi d’agosto 2019, fonte Openpolis-Actionaid 2019).

Lavorando sulle cifre offerte dalla Banca dati nazionale dei contratti pubblici dell’ANAC, nei contratti messi a bando dalle Prefetture per l’accoglienza nei CAS fra gli ultimi mesi del 2018 e l’agosto 2019 Openpolis e Actionaid hanno trovato alcuni indizi di queste difficoltà: 1) la mole di contratti messi a bando in “affidamento diretto”, «nonostante che il percorso per assegnare la gestione dei nuovi CAS preveda l’utilizzo di “procedure aperte” che offrono maggiori garanzie di trasparenza e concorrenza», tranne, appunto, nei casi d’urgenza e per importi ridotti; 2) le ripetizioni di gara: «il fatto che una prefettura proponga più di una volta un accordo quadro per assegnare la gestione di un certo tipo di centro è il sintomo di problemi nell’assegnazione della prima gara, altrimenti non si vede la necessità di una ripetizione».

Su 81 Prefetture che hanno messo a bando accordi quadro per la gestione di CAS, 11 hanno dovuto ripetere almeno una gara; e fra queste ultime quasi tutte, 10 su 11, hanno avuto problemi nell’assegnare CAS di piccole dimensioni: in altre parole, i dati sembrano confermare «come il nuovo capitolato svantaggi l’accoglienza diffusa».

Prefetture & bandi “deserti”: i casi di Livorno e Firenze

In cerca di conferme, l’analisi Openpolis-Actionaid La sicurezza dell’esclusione. Centri d’Italia, parte seconda: errore di sistema ha approfondito la situazione della Toscana, una delle regioni dove il fenomeno dei “bandi deserti” si è fatto più sentire. La Prefettura di Livorno, dopo l’entrata in vigore del primo decreto sicurezza ha messo a bando 1.000 posti ma ne ha effettivamente assegnati solo 564. Nel marzo ’19 la Prefettura di Firenze ha messo a bando tre accordi quadro. Ma si è ritrovata a coprire appena 285 posti rispetto ai 1.800 offerti. Ha così prorogato fino a ottobre i contratti scaduti e a giugno a indetto tre nuovi bandi per i 1.500 posti scoperti. Ma, di nuovo, si sono fatti avanti gestori solo per 141 posti. A ottobre la Prefettura ha riaperto i termini della “procedura negoziata”. Ma «dopo un anno dall’entrata in vigore del decreto Salvini e del nuovo capitolato, nella provincia di Firenze la maggior parte dei posti ritenuti necessari a garantire l’accoglienza risultano ad oggi non assegnati».

In Toscana la situazione si è fatta talmente grave che la Regione ha approvato all’inizio della scorsa estate la delibera per un bando di 4 milioni di euro per progetti in cofinanziamento di enti pubblici e non profit a favore delle persone rimaste prive di reti di inserimento.

Osservano ancora Openpolis e Actionaid: «(Siamo di fronte a) un fenomeno potenzialmente esplosivo, che per ora rimane sottotraccia grazie al ridotto numero di nuovi ingressi nei centri, dovuto al drastico calo degli arrivi… ma che in ogni caso produce effetti distruttivi sui percorsi di integrazione di migliaia di richiedenti asilo». E infine, «che cosa accadrebbe se i numeri dovessero aumentare?».

Il non profit: “Noi non facciamo ‘albergaggio’!”

(Foto CIAC ONLUS).

A Stefano Trovato, membro dell’esecutivo nazionale del CNCA (Coordinamento nazionale comunità di accoglienza), i ricercatori di Openpolis e Actionaid hanno chiesto perché varie realtà del terzo settore hanno deciso di non partecipare ai bandi per l’accoglienza nei CAS. Ecco la sua risposta:
«Le ragioni sono sostanzialmente di due ordini, che a volte sono separate e a volte vanno insieme. C’è una ragione di tipo economico, per cui i servizi che vengono richiesti, secondo la gran parte delle organizzazioni, non possono essere coperti da quel tipo di tariffa e ci sono ragioni di tipo ideale. Molta parte degli attori della cooperazione e dell’associazionismo non si considerano soggetti che fanno “albergaggio”, non intendono cioè gestire strutture alberghiere. Si ritengono invece soggetti che svolgono un ruolo preciso nella società, che non è solo di tipo economico ma anche sussidiario rispetto ad alcuni servizi che lo Stato dovrebbe offrire, fornendo prestazioni che si inseriscono all’interno di un percorso di emancipazione e di inserimento nel tessuto sociale» (da La sicurezza dell’esclusione. Centri d’Italia, parte seconda).

Allegato

L’analisi La sicurezza dell’esclusione. Centri d’Italia, parte seconda: errore di sistema (Openpolis-Actionaid, dicembre 2019, file .pdf)

Leggi anche su Vie di fuga

L’accoglienza? E’ business se non c’è integrazione

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