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L’accoglienza? È business se non c’è integrazione

Il “business dell’accoglienza” (slogan generico e vago riversato a piene mani, con leggerezza dolosa, nel dibattito politico degli ultimi due anni) alla prova dei dati e dei fatti: i bandi per l’accoglienza “straordinaria” e la prima accoglienza in Italia, i casi di studio di Trapani e Torino e i rischi del nuovo “capitolato Salvini”. ***Aggiornamento: on line tutti i materiali ufficiali del nuovo Schema di capitolato di gara di appalto per i centri di prima accoglienza (DM 20 novembre 2018)***

(Foto Openpolis 2018).

“In questi anni la mancanza di strumenti di analisi del sistema nel suo complesso ha permesso che temi come quello del ‘business dell’accoglienza’ potessero svilupparsi nella loro ambiguità gettando un’ombra di sospetto sull’intero settore. Grazie a questa ambiguità è il concetto stesso di accoglienza che viene screditato, senza distinzioni. Ma quando l’attacco e il giudizio avvengono in modo indiscriminato, nella ricerca di un facile consenso, quando il dibattito è superficiale e l’informazione non contribuisce a elevarlo, individuare le responsabilità politiche, amministrative o di gestione diventa più difficile” (dal rapporto “Centri d’Italia”, 2018).

Prima del decreto sicurezza e immigrazione convertito definitivamente in legge, la n. 132/2018 (una legge pessima e foriera di ingiustizie e razzismo) e prima del nuovo (e preoccupantecapitolato “Salvini” sui servizi di accoglienza per i richiedenti asilo: una recente ricerca della fondazione Openpolis e della ONG ActionAid, dal titolo Centri d’Italia, ha indagato il sistema di bandi e costi dell’accoglienza dei richiedenti asilo e dei rifugiati al di fuori della rete SPRAR, dal 2012 ai primi mesi di questo 2018.

Il “sistema” dei centri di accoglienza italiani (CAS più centri di prima accoglienza) è stato studiato con una metodologia scientifica basata per la prima volta su tre fonti principali: la Banca dati nazionale dei contratti pubblici dell’Autorità nazionale anti-corruzione (ANAC), i dati pubblicati sui siti Internet delle Prefetture e quelli ottenuti attraverso richieste di “accesso generalizzato agli atti” sempre dalle Prefetture.

Cliccare per ingrandire. Fonte Openpolis-Action Aid 2018.

Per la gestione dei centri di accoglienza il periodo 2012-2017 ha registrato una crescita costante degli importi messi a bando, dai 182 milioni di euro del ’12 (con la prima “emergenza” Nordafrica) ai 7 miliardi e 702 milioni del ’17.

«Anche il numero di bandi è cresciuto costantemente, ma in maniera non proporzionale all’importo; infatti, a crescere è anche il valore medio dei contratti». Sono stati 602 i bandi registrati nel ’12 e ben 10.251 quelli del ’17, 299 mila euro il valore medio per bando nel ’12 e ben 1.298.000 mila euro nel ’17. Solo fra 2016 e 2017 l’importo medio è lievitato del 98%.

«Con un decreto del marzo 2017 (7 marzo, ancora sotto il governo Gentiloni, prima ancora del “capitolato Salvini”, ndr) il ministro dell’Interno ha delineato un nuovo schema di capitolato di appalto per i centri di accoglienza con il quale, diversamente dagli orientamenti precedenti, si tende a incentivare la creazione di centri di grandi dimensioni, prevedendo per quelli con più di 300 posti la suddivisione dell’appalto in quattro lotti funzionali».

Come vengono assegnati i contratti?

Cliccare per ingrandire. Fonte Openpolis-Action Aid 2018.

Openpolis e ActionAid hanno passato al setaccio le numerose forme di affidamento dei servizi. «Alcune procedure – si spiega nel rapporto Centri d’Italia – sono più trasparenti e permettono una maggiore competizione tra gli operatori per l’aggiudicazione del bando, come ad esempio la procedura aperta. Altre invece prevedono meccanismi semplificati che riducono gli spazi di competitività e trasparenza fino ad annullarli completamente, come nel caso dell’affidamento diretto. L’utilizzo di una procedura meno competitiva non è di per sé una pratica negativa: possono certamente esistere casi in cui l’utilizzo di queste procedure è legittimo e anzi auspicabile. Tuttavia, in termini aggregati, il frequente ricorso a procedure semplificate comporta un abbassamento del livello di trasparenza sia nella gestione di fondi pubblici che nella possibilità di monitorare l’affidamento di servizi così importanti per la buona riuscita del processo di accoglienza e integrazione».

In ogni caso, negli anni si è registrato un calo progressivo nell’adozione della formula dell’affidamento diretto, e in parallelo è aumentata l’incidenza della procedura aperta e degli “accordi quadro” (v. nel grafico qui sopra). Vale a dire, «è aumentata la percentuale di procedure competitive usate per assegnare i bandi».

Contratti e centri sul territorio: Trapani e Torino a confronto

Openpolis e ActionAid hanno approfondito in particolare gli appalti pubblici in materia di accoglienza in due territori profondamente diversi come quelli di Torino e Trapani, con le rispettive Prefetture: vale a dire, due «poli agli antipodi dell’Italia geografica e amministrativa», ma anche «i due territori su cui abbiamo deciso di sperimentare per la prima volta il nostro approccio integrando tutti i dati raccolti, quelli relativi ai contratti con quelli dei relativi centri sul territorio. In Italia la Prefettura di Trapani è quella che ha fra 2012 e 2018 ha assegnato più bandi in affidamento diretto (337), contro i 67 della Prefettura di Torino.

In provincia di Trapani «un modello di accoglienza diffusa in appartamenti risulta del tutto assente, i due centri più piccoli hanno infatti una capienza di 20 persone». Inoltre tre enti gestiscono da soli quasi la metà dei posti in accoglienza. Sulla situazione nel trapanese i ricercatori hanno raccolto la critica testimonianza di Alberto Biondo di Borderline Sicilia. «Un sistema di non accoglienza – accusa Biondo -, quando invece «centri più piccoli» sarebbero «la strada giusta»: «Perché nei centri piccoli puoi creare delle relazioni. Centri con 60, 80, 200 persone sono contenitori, dove gli operatori neanche li conoscono gli ospiti. Un operatore legale non farà mai colloqui con 60 persone, con quattro forse sì. Non è un caso che questi contenitori sono vicini alle campagne, perché poi diventa forza lavoro invisibile, sfruttata».

Nel torinese i centri di accoglienza temporanei alla fine del ’17 erano 409. Qui i centri a dimensione ridotta (meno di 10 posti) sono una larga maggioranza, ben 295. E tuttavia «gran parte dei migranti è ancora accolta in grandi strutture». La Prefettura subalpina «ha assegnato la gran parte dei posti in accoglienza a operatori non-profit, e tuttavia tra i gestori figurano anche operatori profit (229 posti gestiti) e consorzi tra enti locali (662)». Per un giudizio generale sul torinese c’è la testimonianza di Cristina Molfetta come rappresentante del coordinamento Non solo asilo: «Noi diamo un giudizio positivo per il fatto che fino ad ora c’è stato il tentativo di favorire le piccole accoglienze. La Prefettura rimane comunque un organismo, come dire, più decisionista di altri, e per noi questa è una criticità». Ma «il fatto che si sia impegnata negli anni, il fatto che faccia delle visite ispettive, anche se queste visite magari non sono così attente alle persone e al territorio, è più positivo che negativo. Poi chiaramente ci sono degli aspetti che come enti del terzo settore e come prefettura vediamo diversamente».

 

E domani? Tutti i rischi del capitolato del “grande taglio”

«Un provvedimento che di nuovo porta soltanto tagli pesanti a tutti i servizi alla persona, a partire da quelli per l’integrazione che letteralmente spariscono. Una forte diminuzione delle prestazioni richieste al privato che si candiderà a gestire i centri di accoglienza anche sul supporto ai più vulnerabili (soprattutto casi psichiatrici e con problematiche psicologiche), al controllo e l’assistenza sanitaria e al presidio delle strutture… Ancora, «un provvedimento che appare esclusivamente e ossessivamente incentrato sul tagliare i famosi 35 euro, abdicando alla necessità di riformare il malandato sistema di prima accoglienza Italiano. Voci di costo tagliate che comportano un complessivo peggioramento della situazione, con possibili effetti gravi, tanto sui richiedenti asilo accolti, quanto sulla comunità ospitante».

La cooperativa InMigrazione ha analizzato nel dettaglio il nuovo capitolato per la gestione dei centri di accoglienza presentato a novembre dal ministro Salvini.

«I tagli previsti dalle nuove linee guida riguardano esclusivamente costi legati all’erogazione di servizi (integrazione, vulnerabilità, presidio della struttura, sanità) garantiti con l’impiego di risorse umane, ovvero di figure professionali specializzate», denuncia InMigrazione, che vede a rischio 18 mila dei 36 mila posti di lavoro qualificati presenti nei servizi interessati dal nuovo capitolato.

Con il passaggio da 35 euro al giorno per migrante accolto a 19-26 euro, secondo il sintetico dossier di InMigrazione rischiano di non essere più in grado di partecipare ai bandi delle Prefetture le associazioni e le cooperative che nel 2017 hanno partecipato ai bandi per l’apertura di CAS con numeri ridotti, fino a 50 posti, cioè ben il 57% del totale.

Secondo InMigrazione, i passaggi «più negativi e pericolosi» del nuovo schema di capitolato» riguardano l’«integrazione stralciata», le «vulnerabilità abbandonate», i «rischi sanitari», e infine le strutture lasciate a se stesse, senza la presenza di operatori, «determinando il rischio di trasformare questi centri in vere e proprie occupazioni e in luoghi di degrado».

***Aggiornamento: a questo link tutti i materiali ufficiali del nuovo Schema di capitolato di gara di appalto per i centri di prima accoglienza (DM 20 novembre 2018)***

Allegati

L’indagine Centri d’Italia – Trapani e Torino (Openpolis e Actionaid, novembre 2018, file .pdf)

L’indagine Straordinaria accoglienza (InMigrazione, giugno 2018, file .pdf)

Leggi anche su Vie di fuga

Per completare il panorama sulla situazione del sistema di accoglienza italiano: i dati e i risultati dello SPRAR

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IL DIRITTO D’ASILO - REPORT 2020

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