Tra semi-abbandono e solidarietà spontanea, la vicenda del gruppo di richiedenti asilo pakistani arrivati via terra in Italia che questa estate, a Torino, hanno trovato “residenza” solo sul bastione-giardino delle Porte Palatine, a cielo aperto: perché in città, in questi casi, fra il primo ingresso in Questura per la domanda d’asilo e una vera accoglienza sotto un tetto passano due mesi, se si è fortunati.
Oggi pomeriggio a presidiare il bastione sono in cinque, Gull, Mohammad, Ahmad, Sabir, Makhtoob, a cui si aggiunge più tardi Muhammad Ilyas. Il più anziano, Ahmad, ha 49 anni, il più giovane, Mohammad, 27.
Fanno parte del gruppo di richiedenti asilo pakistani che, quest’estate, hanno trovato “residenza” a cielo aperto in cima alla collinetta-giardino-bastione accanto alle Porte Palatine, il monumento romano di Torino: pieno centro, ma un angolo incredibilmente riparato, quasi invisibile dalle vie che passano attorno. E a 50 metri da un commissariato di polizia, per stare più tranquilli rispetto ad altri giardini della zona («Polizia italiana is good», ti dicono sorridendo gli “ospiti” delle Porte).
Almeno alcuni di loro hanno passato il confine via terra nel Triveneto. A Torino hanno avviato le pratiche per l’asilo in Questura. Ma proprio perché sono arrivati via terra, a lungo la città gli offre ben poco, a differenza dell’accoglienza immediata che ottengono, almeno negli ultimi anni, i migranti sbarcati sulle nostre coste: sono i paradossi delle “emergenze” italiane, sempre affrontate con debolezze, ritardi e “dimenticanze” che vanno a creare piccole e grandi terre di nessuno. Anche se, va detto, non dappertutto l’abbandono è un destino: almeno a Trieste per esempio esiste una Convenzione fra la Città e la Prefettura per la gestione immediata “extra-SPRAR” dei richiedenti asilo che arrivano nel territorio (forse l’esperienza più avanzata in Italia, vedi la scheda nelle Buone pratiche di Vie di fuga).
Questura 1, Questura 2, Prefettura…
Sotto la Mole, se hai bisogno di chiedere asilo il limbo inizia quando riesci a entrare per la prima volta in Questura per presentare domanda d’asilo (cosa che può già richiedere una o due settimane). Bisognerà poi presentarsi una seconda volta: solo dopo questo passaggio, con il foto-segnalamento e la compilazione del modulo “C3”, al richiedente verrà chiesto dove risiede e se ha bisogno di accoglienza.
Il richiedente dovrà quindi presentarsi in Prefettura o all’Ufficio stranieri del Comune: sarà uno di questi due enti a inoltrare una richiesta di presa in carico al Servizio centrale dello SPRAR.
A questo punto non resta che aspettare la risposta. E che ci siano posti disponibili. Nel complesso, da quando si riesce a entrare la prima volta in Questura fino a quando, se c’è posto, al richiedente asilo si prospetta una soluzione, a Torino passano circa due mesi, se si è fortunati.
“Stavo andando tranquillo al mercato”
Questo pomeriggio, in ordine contro il parapetto del bastione-giardino, ci sono solo sacchi di indumenti. Ma la sera sul prato pulito spuntano anche alcune tendine.
Gull, Mohammad, Ahmad, Sabir, Makhtoob e Muhammad Ilyas raccontano di sé con calma e dignità. A fare da interpreti sono Gull e Muhammad Ilyas, che conoscono meglio l’inglese. Riferiscono con gratitudine di essere stati aiutati da singoli e famiglie che hanno portato cibo, vestiti. Qualche giorno fa, grazie a un’iniziativa spontanea pubblicizzata con un passaparola e su Facebook, alle Porte Palatine si sono tenute con successo una “Merenda con i rifugiati” e una raccolta di generi di prima necessità.
Però «mangiare, dormire, farsi una doccia è un problema. E ormai sono finiti anche i soldi», ci hanno detto qualche giorno prima i richiedenti asilo del bastione. Possono usufruire del non lontano dormitorio del Sermig, lungo la Dora, ma con le turnazioni previste da questo servizio. Quando piove si rifugiano sotto i portici del “Palazzaccio” di fronte al Duomo, a 200 metri di distanza.
Ad oggi sono circa 50, sono seguiti dai volontari della Pastorale migranti e seguono quasi tutti, con motivazione, i suoi corsi di italiano.
Perché avete lasciato il Pakistan? «Perché dopo la guerra in Afghanistan contro i talebani è diventato un Paese troppo pericoloso per viverci: scontri armati, attentati, violenza». Sia Gull che Muhammad Ilyas mostrano vecchie ma vaste cicatrici, Gull sul capo, Muhammad alle gambe. Muhammad: «A me sono rimaste per l’esplosione di una bomba a Lahore. Stavo andando tranquillo al mercato…».
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