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Ai confini dell’Ue: partire è un diritto (a rischio)

Un’analisi pubblicata dal Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa ha esplorato l’attuazione del diritto a “lasciare qualsiasi Paese, compreso il proprio”, sancito da un protocollo della Convenzione europea sui diritti umani.

L'immagine di copertina di "The right to leave a country".

«Ognuno è libero di lasciare qualsiasi Paese, compreso il proprio». Parola di convenzione europea. Per essere precisi, dell’articolo 2 del quarto Protocollo addizionale della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.

Se ne occupa un recente issue paper  dal titolo The right to leave a country preparato per il Commissario per i diritti dell’uomo del Consiglio d’Europa. Secondo i curatori dell’analisi, l’art. 2 del Protocollo 4 costituisce oggi un’autentica «sfida» per l’Europa e i suoi valori di accoglienza e libertà: in particolare, il documento analizza le misure restrittive in materia di controllo dell’emigrazione e dei confini adottate, in alcuni Stati ai confini esterni dell’Ue, su pressione di Paesi membri dell’Unione.

«Questo tipo di restrizioni al diritto di partire, che prende la forma di norme che criminalizzano le partenze per il solo sospetto che i propri migranti non abbiano il diritto legale di ingresso nei Paesi di destinazione, oppure che crea reati penali collegati all’espulsione da un altro Paese, pone seri ostacoli al godimento del diritto a lasciare il proprio Paese».

Il rapporto The right to leave a country sottolinea che questo diritto, sia pure soggetto ad alcune limitazioni, è un indispensabile presupposto per il godimento di altri diritti umani: specialmente quello alla protezione internazionale dalla tortura e dai trattamenti inumani o degradanti.

Sei questioni

Sono sei gli argomenti approfonditi dal documento: il diritto di partenza in sè, il diritto di cercare asilo, il diritto di lasciare un Paese in cui si vive da immigrati, il diritto alla non discriminazione di cui gode chi decide di lasciare un Paese, il quadro della situazione in un’area specifica (i Balcani occidentali, dove in particolare i rom continuano a subire esclusione sociale e discriminazioni «istituzionalizzate») e infine l’impatto, sempre in tema del “right to leave“, dell’«esternalizzazione» delle politiche di controllo delle frontiere messa in atto dall’Ue.

Fra le raccomandazioni finali di The right to leave a country si legge: «I Paesi membri dell’Ue devono rivedere le proprie normative, politiche e pratiche  sul controllo delle frontiere e dell’immigrazione, per assicurare che esse non favoriscano in altri Stati interferenze con il diritto di ogni persona a lasciare il Paese in cui si trova».

Il Protocollo n. 4 risale al 1963 ed è entrato in vigore nel 1968, ma è stato ratificato dall’Italia solo nel 1982.

Allegato

The right to leave a country (Consiglio d’Europa 2013, in inglese, file .pdf)

Collegamento

Il protocollo n. 4 della Convenzione europea sui diritti umani

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