Venerdì 31 gennaio la Sezione Persona, Famiglia, Minorenni e Protezione internazionale della Corte d’Appello di Roma ha sospeso il giudizio di convalida del trattenimento di 43 cittadini stranieri condotti nei centri albanesi. Si tratta ormai dell’ennesimo trattenimento non andato a convalida. Vi proponiamo la lettura fatta dall’avvocato Giulia Menasti sul contesto legislativo in cui stanno avvenendo tali sospensioni.
Centri per migranti in Albania: il punto sui ‘paesi sicuri’ dopo l’ultima mancata convalida e le recenti pronunce della Cassazione
Giulia Mentasti
C. App. di Roma, Sezione Persona, Famiglia, Minorenni e Protezione internazionale, ord. 31 gennaio 2025, n. 478
1. Con ordinanze sovrapponibili a quella che può leggersi in allegato, lo scorso venerdì 31 gennaio la Sezione Persona, Famiglia, Minorenni e Protezione internazionale della Corte d’Appello di Roma ha sospeso il giudizio di convalida del trattenimento di 43 cittadini stranieri condotti nei centri albanesi, rimettendo gli atti alla Corte di Giustizia dell’Unione europea ai sensi dell’art. 267 TFUE.
Aumenta così notevolmente il numero dei rinvii pendenti dinnanzi alla Corte di Giustizia sulla medesima questione[1], ossia se il diritto dell’Unione europea consenta o meno di designare un paese come ‘sicuro’ quando le condizioni sostanziali per la sua designazione non risultano soddisfatte per alcune categorie di persone. È bene ricordare, infatti, che dal momento in cui un Paese straniero rientra nella definizione di ‘paese sicuro’, nei confronti dei suoi cittadini diviene applicabile la procedura accelerata di esame delle domande di asilo prevista dall’art. 28 del d.lgs. 25/2008 (in attuazione della direttiva 2013/32/UE) in forza della quale lo straniero richiedente asilo, durante lo svolgimento della procedura, può essere trattenuto fino a un massimo di quattro settimane in appositi spazi allestiti nelle zone di frontiera o di transito (così dispone l’art. 6 bis d.lgs. 142/2015). In attuazione del Protocollo tra Italia e Albania, ratificato con legge 14/2024, a tali zone di transito e frontiera sono ora equiparati i centri dislocati in territorio albanese, interamente sottoposti alla giurisdizione italiana. Come evidente, quindi, oltre che per la generale applicabilità della procedura accelerata, la corretta individuazione dei paesi sicuri risulta dirimente per il concreto funzionamento dei centri di trattenimento in territorio albanese, destinati a ospitare i soli richiedenti asilo sottoposti a procedura accelerata e sino ad oggi rimasti vuoti.
2. Come anticipato, non è la prima volta che su questi temi la magistratura italiana, a fronte della incertezza interpretativa venutasi a creare dopo la sentenza della Corte di Giustizia europea del 4 ottobre 2024, sospende il proprio giudizio e rinvia la questione ai giudici europei. È, invece, la prima volta che a decidere sulla convalida dei trattenimenti nei centri albanesi è stata chiamata la Sezione specializzata della Corte d’Appello di Roma, dopo lo spostamento di competenza (dalla Sezione specializzata del Tribunale a quella della Corte d’Appello) imposto dal cd. ‘decreto flussi” (d.l 145/2024 conv. in l. 187/2024, in vigore dal 10 gennaio 2025) e recentemente ‘avallato’ da una pronuncia della Corte di cassazione[2].
3. Tornando alla questione, in estrema sintesi, nella sentenza del 4 ottobre, la Corte di Giustizia ha affermato che l’art. 37 della direttiva 2013/32 osta a che un paese terzo possa essere designato come paese di origine sicuro quando alcune parti del suo territorio non soddisfano le condizioni sostanziali di tale designazione, enunciate all’allegato I della direttiva. All’indomani della sentenza molti Tribunali italiani hanno ritenuto che, proprio alla luce delle argomentazioni lì sostenute dalla Corte europea, debba giungersi alle medesime conclusioni anche con riferimento alle eccezioni riguardanti categorie di persone, così affermando in più occasioni che alcuni paesi inseriti nella lista (ministeriale o legislativa) dei paesi sicuri non possono ritenersi tali se per determinate categorie di persone non sussistono le condizioni sostanziali per tale designazione.
4. L’assenza di unanimità tra i Tribunali di merito sulla corretta interpretazione della sentenza del 4 ottobre, nonché le forti reazioni della politica alle prime mancate convalide dei trattenimenti in Albania, hanno spinto i diversi tribunali italiani a rimettere alla Corte di cassazione (con rinvio pregiudiziale ex art. 363 bis c.p.p. del Tribunale di Roma) e alla Corte di Giustizia (con i sopracitati rinvii) la questione.
4.1. Con la sentenza n. 33398 del 19 dicembre 2024 (allegata), la Corte di cassazione ha sciolto un primo nodo interpretativo – quello relativo al controllo giurisdizionale sulla lista – affermando a chiare lettere che in capo al giudice ordinario sussiste il potere/dovere di verificare, sempre sulla base delle fonti istituzionali di cui all’art. 37 della direttiva 2013/32/UE, la sussistenza dei presupposti di legittimità della designazione, eventualmente disapplicando in via incidentale la lista dei paesi di origine sicuri quando la designazione si trovi in contrasto con i criteri di qualificazione stabiliti dalla normativa europea[3].
4.2. Meno netta, invece, la posizione assunta dalla Corte sulla questione oggetto anche del presente rinvio, incidente sulla (im)possibilità per gli Stati di procedere alla qualificazione di un paese d’origine come sicuro in presenza di eccezioni per alcune categorie di persone
Sul punto, con l’ordinanza interlocutoria n. 34898 del 30 dicembre 2024 (allegata), la Cassazione ha deciso di rinviare la causa a nuovo ruolo per «evidenti ragioni di cautela» considerata, in particolare, l’ormai prossima decisione della Corte di giustizia proprio sul rinvio pregiudiziale disposto nelle cause riunite C-758/24 e C-759/24, Alace e altri, attesa entro l’inizio dell’estate, dopo l’udienza del prossimo 25 febbraio.
Nella stessa ordinanza, pur senza prendere posizione sul ricorso, la Prima Sezione civile della Cassazione non ha mancato di presentare la “propria ipotesi di lavoro”, affermando che, contrariamente a quanto sostenuto dai diversi tribunali rimettenti, dalla sentenza della Corte di Giustizia non possa trarsi, come conseguenza implicita e automatica, l’incompatibilità̀ della designazione di un paese come ‘sicuro’ ove ci siano delle esenzioni di tipo soggettivo[4].
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5. È in questo contesto che la Corte d’Appello di Roma si è trovata a pronunciarsi sul trattenimento in Albania di 43 cittadini stranieri richiedenti asilo provenienti dal Bangladesh e dall’Egitto, soccorsi in mare e condotti in Albania da una nave della Marina militare italiana; in ragione della loro provenienza da paesi rientranti nella elencazione dei ‘paesi sicuri’ (ora contenuta nel d.l. n. 158/2024 conv. l. n. 187/2024), la competente Commissione territoriale aveva disposto che le domande fossero valutate con procedura accelerata di frontiera e, contestualmente, il Questore di Roma aveva disposto il trattenimento presso il centro di Gjader, ai sensi dell’art. 6 bis del d.lgs. 142/2015.
Chiamata a convalidare il trattenimento, la Corte d’appello «preso atto dei contrasti interpretativi manifestatisi nell’ordinamento italiano» e, in particolare, della ordinanza interlocutoria della Corte di cassazione del 30 dicembre 2024, ha deciso di formulare un nuovo e ulteriore rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione europea ai sensi dell’art. 267 TFUE.
Da un lato, infatti, benché i rinvii già pendenti fossero risolutivi anche ai fini di questo giudizio, la Corte non ha potuto esimersi dal dovere di proporre un nuovo ed autonomo rinvio, «poiché l’ordinamento italiano non consente di sospendere o di rinviare il giudizio in attesa che la Corte [di Giustizia] decida un rinvio pregiudiziale sollevato in altro giudizio (Cass. 7 marzo 2024, n. 6121; C. cost. n. 218 del 2021)».
Dall’altro lato, la mera ‘ipotesi di lavoro’ formulata dalla Cassazione, dando a sua volta l’ultima parola alla Corte di Giustizia, ha spianato la strada al rinvio ex art. 267 TFUE. Ancora una volta, infatti, i dubbi riguardavano la concreta e attuale situazione di sicurezza del paese di origine, qui in particolare il Bangladesh. Sul punto la Corte osserva che dalle fonti ministeriali, oltre che da una serie di fonti internazionali accreditate[5], emerge che in tali paesi «le condizioni di sicurezza non sono rispettate per tutte le categorie di persone» quali, ad esempio per il Bangladesh, gli appartenenti alla comunità̀ LGBTQI+, le vittime di violenza di genere, incluse le mutilazioni genitali femminili, le minoranze etniche e religiose, le persone accusate di crimini di natura politica e i condannati a morte.
6. Esprimendo la propria posizione sulla questione, la Corte afferma che «il diritto unitario non consenta di designare sicuro un paese con esclusione di categorie – e a maggior ragione di dichiararlo sicuro per intero quando risulti che per alcune categorie di persone non lo sia – per considerazioni che corrispondono sostanzialmente a quelle già espresse nella motivazione della sentenza del 4 ottobre 2024 dalla Grande sezione della Corte di Giustizia dell’Unione Europea con riferimento alla esclusione per parti del territorio, sentenza pregiudiziale avente efficacia erga omnes».
Quattro le argomentazioni presentate a sostegno di questo orientamento.
In primo luogo, si richiamano i paragrafi 68 e 69 della sentenza della Corte di Giustizia dove, richiamando il testo dell’allegato I della Direttiva, si osserva che l’espressione “generalmente e costantemente” lì contenuta «chiaramente esclude che persecuzioni, torture, pene e trattamenti disumani e degradanti possano riguardare non singoli individui, in via occasionale, ma categorie di persone, a causa delle caratteristiche che accomunano i singoli individui che alla stessa possono ricondursi»[6].
In secondo luogo, viene fatto un richiamo al paragrafo 71 della medesima sentenza, osservando brevemente che «anche per le categorie di persone vale il principio che le disposizioni per i provenienti da paesi sicuri, avendo carattere derogatorio, sono oggetto di interpretazione restrittiva».
In terzo luogo, per la Corte sarebbe «oltremodo incongruo» escludere che un Paese possa essere considerato come sicuro «quando gli evidenziati standards di sicurezza e di tutela dei diritti non siano rispettati in una parte del suo territorio e invece ritenere diversamente laddove tali minime condizioni non siano rispettate per categorie di persone su tutto il suo territorio, eventualità ancora più grave».
Infine, sotto il profilo sistematico e letterale, la Corte ricorda che la direttiva 2013/32 ha espressamente eliminato la facoltà – in precedenza prevista dalla direttiva 2005/85/UE – di designare paesi terzi come paesi di origine sicuri in presenza di limitazioni per parti di territorio o a categorie di persone. A conferma di tale scelta abrogatrice sembrerebbe peraltro porsi a circostanza che «il regolamento 2024/1348, nell’abrogare la direttiva 2013/32 con effetto dal 12 giugno 2026, reintroduce la facoltà di dichiarare un paese sicuro con eccezioni non solo per determinate parti del suo territorio, ma anche per “categorie di persone chiaramente identificabili”, facoltà evidentemente non presente nel periodo di efficacia della direttiva 2013/32 per entrambe le ipotesi».
7. Non resta dunque che attendere la decisione della Corte di Giustizia, a cui anche la Cassazione ha devoluto la decisione finale sulla questione. Nel frattempo, non sembrano interrompersi né i trasferimenti dei richiedenti asilo verso i centri dislocati in Albania né il clamore politico-mediatico che puntualmente fa eco alle ‘liberazioni’ dovute alle mancate convalide. ‘Liberazioni’ che, forse è il caso di ribadirlo, si traducono in realtà nel mero trasferimento dei cittadini stranieri nel territorio italiano, dove prenderà avvio nei loro confronti la procedura ordinaria di valutazione delle domande di asilo, senza esclusione di altre forme di trattenimento amministrativo.
[1]Sino alla fine di gennaio si contavano già 14 rinvii sollevati dai Tribunali italiani: Tribunale di Firenze, decreti del 4 giugno 2024 (cause C-388/24, Oguta, e C-389/24, Daloa); Tribunale di Bologna, decreto depositato il 29 ottobre 2024, causa C-750/24, Ortera; Tribunale di Roma, decreti del 4 e del 5 novembre 2024, che ha formulato ulteriori tre quesiti nelle cause C-758/24, Alace, e C-759/24; Tribunale di Palermo, decreti del 5 novembre 2024, nelle cause C-763/24, Mibone, e C-764/24, Capurteli. Il 13 novembre 2024, il Tribunale di Roma ha depositato altri 7 rinvii. A questi, devono ora aggiungersi i 43 rinvii avanzati dalla Corte d’Appello di Roma. Per un’analisi dei primi 14 rinvii, si v. P. IANNUCCELLI, “Paesi d’origine sicuri”: la situazione processuale delle cause pendenti davanti alla Corte di giustizia, in Rivista del contenzioso europeo, fasc. 3/2024.
[2] Sulla legittimità di tale spostamento di competenza per la convalidà dei trattenimenti si è di recente espressa la Corte di cassazione con la sent. 2967/2025, osservando che le disposizioni contenute nel decreto flussi sul tema non violano il diritto di difesa del Cittadino straniero e rientrano nelle facoltà del legislatore. La stessa pronuncia, tuttavia, sottolinea che in capo al giudice (penale, dopo il decreto di variazione tabellare della Prima presidenza della Corte) che decide sulla proroga o sulla conferma del trattenimento grava un onere di motivazione rafforzata idonea a giustificare la restrizione della libertà personale.
[3] Per una riflessione più approfondita, sia consentito il rimando a G. MENTASTI, Paesi sicuri, controllo giurisdizionale ed eccezioni: due pronunce della Cassazione in attesa della Corte di Giustizia, in Rivista del contenzioso europeo, fasc. 1/2025.
[4] Ibidem.
[5] La Corte d’Appello richiama: EUAA, Country of Origin Information Report – Bangladesh: Country Focus, July 2024, https://www.ecoi.net/en/file/local/2112101/2024_07_EUAA_COI_Report_Bangladeshcountry_Foc us.pdf; Freedom House, Bangladesh, 2024, https://freedomhouse.org/country/bangladesh/freedom- world/2024; International Crisis Group, https://www.crisisgroup.org/asia/south-asia/bangladesh; International Rescue Committee (IRC), 7 August 2024, https://www.rescue.org/eu/article/crisis-bangladesh-what-you-need-know-and-how-help;).
[6] Par. 3.3.
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