Anche nell’universo parallelo dell'”emergenza 2011″ è possibile lavorare bene, se si sa fare “rete”. Lo dimostra l’esperienza della Caritas diocesana di Asti, che a maggio ha accolto 31 richiedenti asilo somali. Caso unico almeno a livello piemontese, il gruppo di ospiti si autogestisce nell’organizzazione della struttura che li accoglie.
All’Oasi dell’Immacolata di Asti, qualche sera fa, c’è stata una cena all’aperto che sembrava più una festa multietnica di quartiere che un pasto fra i tanti nel limbo delle strutture dell'”emergenza profughi“: atmosfera rilassata e informale, gli ospiti somali (che avevano cucinato piatti della cucina nazionale) mescolati a un gruppo nutrito di volontari italiani (“classici” volontari con i capelli grigi ma anche ragazzi), nessun discorso ufficiale (in assoluto understatement era presente anche mons. Ravinale, vescovo della città)…
La Caritas diocesana di Asti è fra gli organismi convenzionati per l’accoglienza dei richiedenti asilo fuggiti quest’anno dal Nordafrica. All’Oasi, una villa inutilizzata, il 7 maggio sono stati accolti 31 richiedenti originari della Somalia. Un gruppo giovane, con uomini, donne e tre bambini. Si sono poi aggiunti due ricongiungimenti (due uomini che erano stati separati dalle mogli nel caos dell’arrivo e della burocrazia all’italiana ed erano finiti nelle Marche) e altri tre giovani trasferiti da una struttura alberghiera sovraffollata.
Oggi gli ospiti, tutti somali, sono 36, sono affiancati da 4 operatori e da una trentina di volontari. Ma la vera caratteristica di questa esperienza è un’altra: il gruppo di ospiti si autogestisce nell’organizzazione della casa, dalla pulizia dei locali alla lavanderia, dalla cucina alla cura dell’orto in un angolo del parco. Solo la spesa è gestita dagli operatori. Un’assemblea plenaria con gli operatori si tiene una volta la settimana.
Almeno a livello piemontese l’autogestione dell’Oasi di Asti è un caso unico.
Certo aiuta la struttura, una villa d’epoca circondata da un grande giardino. Certo aiuta il fatto che gli ospiti sono un gruppo coeso e di nazionalità omogenea. Certo aiuta che la Caritas di Asti è riuscita a coinvolgere altri enti, associazioni e singoli (mediazione culturale, animazione, corsi d’italiano, donazione di indumenti, il “bilancio delle competenze” personalizzato per aiutare nella ricerca di un lavoro, ecc.). Ma Asti lo dimostra: anche nell'”universo parallelo” dell'”emergenza 2011″ è possibile lavorare bene, se si sa fare rete valorizzando le risorse del territorio (e degli utenti).
Fra settembre e ottobre gli ospiti dell’Oasi affronteranno il loro colloquio alla Commissione territoriale di Torino per il riconoscimento della protezione internazionale. Almeno secondo le statistiche della Commissione nazionale per il diritto d’asilo relative agli anni scorsi, i fuggitivi dalla Somalia hanno buone chance di vedere accolta la loro richiesta con la concessione dello status di rifugiato o, più probabile, della protezione sussidiaria. La convenzione di Asti scadrà, come tutte le altre, il 31 dicembre. Non si sa che cosa accadrà dopo. Ma la Caritas diocesana sta già lavorando per l’accoglienza di “secondo livello” per piccoli nuclei sul territorio e per l’inserimento in borse lavoro e tirocini formativi.
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