L’UE a luglio ha siglato un memorandum di intesa con il governo tunisino. L’atto deve ancora essere ratificato dagli stati membri e ha il carattere di un’intesa non vincolante, tuttavia rappresenta l’assunzione, da parte dell’Ue, di impegni politici e finanziari verso la Tunisia. Una rete di attivisti da tutto il mondo ha però deciso di mobilitarsi per denunciare il contenuto inacettabile di questo documento.
Analogamente ad accordi precedenti come quello del 2016 con la Turchia o il memorandum d’intesa tra Italia e Libia, l’accordo con Tunisi si inserisce in una strategia di condizionalità degli aiuti economici e di esternalizzazione delle frontiere europee. Proprio per queste motivazioni un gruppo di attivisti, ricercatrici e ricercatori ha voluto far sentire una voce diversa rispetto alle narrazioni istituzionali e ha pubblicato in italiano (sul Manifesto), in francese e in arabo un testo che riproponiamo qui e che spiega un dissenso informato, critico e consapevole.
“Come ricercatrici e ricercatori e membri della società civile, del Nord e del Sud globali, intendiamo prendere posizione collettivamente contro il “Memorandum d’intesa su un partenariato strategico e globale tra l’Unione Europea (Ue) e la Tunisia”, firmato il 16 luglio 2023, e, più in generale, contro le politiche di esternalizzazione delle frontiere della Ue. Allo stesso modo ci opponiamo ai vari interventi pubblici del presidente della Repubblica Kaïs Saïed, del Ministero degli Interni, del Ministero degli Esteri e di numerosi membri dell’Assemblea dei Rappresentanti del Popolo (ARP), rivolti contro le popolazioni migranti sin dal febbraio 2023. Mentre l’allineamento della Tunisia alle politiche europee di esternalizzazione si è consolidato da tempo, denunciamo l’attuale pericoloso tornante nell’accettazione di queste politiche e dei presupposti razzisti che vi sottendono. Ormai la Tunisia mostra una propria volontà di rafforzare un sistema di esclusione e di sfruttamento di chi proviene da paesi dell’Africa sub-sahariana. Invece di denunciare questa ulteriore escalation razzista, basata su un discorso populista e cospirazionista proprio al contesto di deriva autoritaria che sta attraversando il paese, i responsabili europei strumentalizzano le migrazioni cosiddette irregolari presentandole come “una piaga comune”. In maniera opportunista e irresponsabile, la UE consolida il discorso presidenziale e alimenta la fobia anti-migranti e anti-nere/i, oltre a veicolare l’immagine di un’Europa che aiuta la Tunisia a proteggere i suoi confini e non invece quelli europei. Esprimiamo la nostra piena solidarietà con tutte le persone migranti e il rigetto dei discorsi di odio da entrambe le sponde del Mediterraneo. Come universitari/e e membri della società civile che lavorano su queste tematiche, desideriamo inoltre contrastare la disinformazione diffusa in Tunisia da alcune/i responsabili politici, giornaliste/i e individui che si presentano come universitari/e le/i quali costruiscono argomentazioni razziste prive di ogni fondamento fattuale. È urgente interrogarsi sulle ragioni per cui delle popolazioni vulnerabili vengono utilizzate come capro espiatorio per nascondere il fallimento delle politiche pubbliche in Tunisia. Dietro le categorie razzializzanti di “subsahariane/i”, “africane/i” o di “migranti irregolari”, vi sono studentesse e studenti, lavoratrici e lavoratori, rifugiate/i e richiedenti asilo, persone arrivate per ricevere cure mediche, oppure da anni in attesa del permesso di soggiorno, così come persone che non possono uscire dal territorio per rinnovare il visto. La diversità dei percorsi e delle condizioni di queste persone, come la loro stessa umanità, vengono rese invisibili, con il risultato di marginalizzarle ulteriormente e disumanizzarle. Molte/i non riescono a regolarizzarsi a causa di un quadro legislativo obsoleto e incoerente e di procedure amministrative lente e complesse. Così come accade a molte/i tunisine/i in Europa, la condizione delle persone migranti in Tunisia diventa irregolare a causa di leggi e pratiche che classificano le popolazioni del continente africano in migranti “desiderabili” o “indesiderabili” e che criminalizzano gran parte dei suoi giovani. Invece, il soggiorno irregolare dei migranti occidentali – molto frequente in Tunisia, a causa delle medesime disfunzioni burocratiche – non viene visto come un problema securitario. Inoltre, nulla conferma l’affermazione secondo la quale la forza lavoro migrante sarebbe responsabile del degrado dell’economia tunisina, come viene suggerito dalla vulgata xenofoba. Come molte/i tunisine/i, in realtà esse/i sono spesso sfruttate/i e esposte/i alla precarietà e alla vulnerabilità alimentare. L’attuale crisi economica è piuttosto causata dalla mancanza di prospettive economiche, dalle politiche di austerità sostenute a livello internazionale, alla gestione del debito pubblico, o ancora dall’ incapacità dello Stato a porre rimedio alle disuguaglianze socio-economiche. La Ue insiste nel voler dare carta bianca alla Tunisia, strategia tanto più irresponsabile perché inefficace. Finché le cause socio-economiche strutturali delle migrazioni cosiddette irregolari non verranno messe in causa, e l’accesso alla mobilità non verrà radicalmente ripensato, l’approccio securitario non farà che rendere le traversate più mortali, rafforzando i trafficanti. Questo Memorandum aumenterà l’asimmetria fra la Ue e la Tunisia nell’accesso alla mobilità e alle opportunità, in particolare contribuendo a quella che viene chiamata “la fuga dei cervelli” e a modelli economici che alimentano le cause delle migrazioni e delle diseguaglianze. Le vaghe contropartite proposte dalla Ue come la facilitazione dei visti e i “partenariati dei talenti” fanno parte di quelle promesse già fatte in passato alla Tunisia che non sono mai state mantenute. L’esternalizzazione delle frontiere europee colpisce in questo modo l’insieme delle persone migranti considerate “non desiderabili” del continente, tunisine come degli altri paesi africani. D’altronde la volontà manifestata nel Memorandum di “preservare la vita umana” è ben poco credibile, dato che dal 2014 circa 27.000 persone sono morte o disperse nel Mediterraneo, a causa delle stesse politiche europee che si sono ritirate dai salvataggi in mare, di fatto criminalizzandoli. Il solo modo per tutelare veramente gli interessi e la dignità di tunisine/i e di cittadine/i del continente africano presenti nel paese, è di attivare modalità di ascolto e di dialogo costruttivo con le popolazioni tunisine e non tunisine colpite da queste politiche, con le varie associazioni che le rappresentano, e con attori sociali e comunità di ricerca. Questi scambi dovrebbero contribuire a far emergere una riflessione collettiva sulle soluzioni politiche alternative all’attuale gestione mortifera delle frontiere, riconoscendo le migrazioni come un diritto e una ricchezza per tutte/i.” |
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