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Archivio Author: Celeste Ansaldi

Tutti i muri del mondo – Iran e Pakistan

Alto tre metri e lungo 700 chilometri. Uno spessore di 90 centimetri, composto da terra e pietra, con fossati, filo spinato e postazioni della polizia iraniana per tutta la lunghezza. Questo è il muro, operativo da circa 4 anni, tra Iran e Pakistan, eretto come naturale prosecuzione della politica di protezione iniziata con la costruzione del muro tra Iran e Afghanistan, lungo ben novecento chilometri. L’Iran sta chiudendo le sue frontiere passo dopo passo, con metodica precisione. La cartina Una barriera contro la droga… Il controllo del traffico illegale di droga è il motivo annunciato dalle istituzioni iraniane per giustificare la costruzione del secondo muro. Questo perché la maggioranza delle rotte della droga, che dall’Asia arrivano in Europa passano attraverso l’Afghanistan o il Golfo Persico, con basi in Iran e Pakistan. Secondo il ministro della difesa iraniano Ahmad Vahidi, più del 70% della droga consumata in Europa arriva da queste rotte, soprattutto oppio ed eroina. Dopo la costruzione della barriera tutto il traffico prima diretto in Afghanistan è stato dirottato verso il Pakistan. Questo ha spinto le autorità a proseguire nel tentativo di controllo dei traffici con l’erezione di una nuova barriera. … contro il terrorismo e l’immigrazione Le motivazioni che hanno spinto l’Iran all’erezione del muro al confine del Pakistan sono anche di matrice politica. Il muro divide in due la regione del Beluchistan, che comprende il sud est dell’Iran e il sud ovest del Pakistan. Nella località ha le sue basi il gruppo armato sunnita Jundullah, originario della

MARE NOSTRUM: missione umanitaria o operazione militare?

Le frontiere degli stati membri dell’Unione Europea sono ogni giorno più inaccessibili per coloro che scappano da zone di guerra alla ricerca di un rifugio sicuro. Troppo spesso la protezione dei territori viene organizzata a scapito dei diritti umani, con costi esorbitanti e pochi risultati concreti.
L'estensione della barriera

Tutti i muri del mondo – Israele e Cisgiordania

E’ il 2000. Anno che segna l’inizio della Seconda Intifada, un nuovo periodo di scontro tra israeliani e palestinesi. Il conflitto si inasprisce in forme accese e pone fine all’instabile processo di pace iniziato nel 1993. Il numero delle vittime cresce, come quello di quanti sono disposti a immolare la propria vita per la causa palestinese. Questo permette al governo di Israele di inasprire i controlli sui territori occupati, con la scusa di contrastare ulteriori atti violenti a danno della popolazione civile. Quale strumento permette un controllo simile, se non una barriera in grado di bloccare fisicamente chiunque tenti di valicarne i confini? Da qui l’idea della costruzione della “barriera di separazione israeliana”,  soprannominata dai contrari alla sua edificazione “muro delle vergogna” o “dell’apartheid”. Il muro, alto circa otto metri e lungo 700 Km, disseminato di impianti di sorveglianza, recinzioni elettroniche e controllato continuamente dai militari, divide la Cisgiordania da Israele. Le polemiche I lavori di costruzione sono quasi conclusi. Negli anni trascorsi, il tracciato del muro è stato più volte modificato a seguito delle numerose polemiche sollevate a livello internazionale, che mettevano in dubbio la legittimità della recinzione. La barriera, infatti, viola i principi minimi dei diritti umani. Alla popolazione palestinese viene impedito il raggiungimento di alcune tra le zone più fertili del Paese, in cui si trovano la maggioranza dei territori coltivabili e circa trenta sorgenti d’acqua. Il muro rappresenta un tentativo piuttosto esplicito di indebolire ulteriormente la popolazione palestinese dal punto di vista sociale, economico e ambientale.

Una matita, tante storie e una società da cambiare

Quattordici storie di ragazzi somali in sette città europee, una matita per raccontarle. Queste le premesse che hanno dato vita a una consistente raccolta a fumetti di brevi racconti, che hanno preso forma dopo ore di interviste realizzate nell’arco di sei mesi. “Meet the Somalis” il titolo dell’opera.

Media e Cooperazione a confronto a Torino

Si è svolto giovedì 5 dicembre, presso il Campus Luigi Einaudi di Torino, il tanto atteso seminario dal titolo “La cooperazione fa notizia?“. evento inserito nel quadro del progetto europeo “Comunicare in rete per lo sviluppo“. L’obiettivo? Quello di permettere l’incontro tra due mondi il cui confronto risulta essenziale ma ancora complicato: quello dei media e degli operatori della cooperazione. Sul palco si sono alternati numerosi giornalisti, professori universitari e rappresentanti di Organizzazioni non governative per analizzare insieme, anche su basi scientifiche, i punti critici del dialogo tra le due professionalità.  Al centro del dibattito una ricerca coordinata dal professor Cristopher Cepernich, che ha monitorato le maggiori testate piemontesi (dal 1°aprile al 30 giugno 2013) scoprendo che dei 237 articoli che affrontavano tematiche legate al mondo della cooperazione la maggioranza erano di piccole dimensioni (69%), senza firma (64%) e inseriti nella cronaca locale (60,7%). La copertura mediatica è saltuaria e poco approfondita. Se i giornalisti peccano di scarsa attenzione verso il mondo della cooperazione, anche le Ong presentano criticità. Si evidenzia la mancanza nei team di professionisti della comunicazione in grado di raccontare efficacemente all’esterno l’operato svolto nel mondo. Il 41% delle 32 Ong interrogate affida ai volontari l’arduo compito, non ci si serve abbastanza dei comunicati stampa e per privilegiare l’aspetto operativo si rende marginale il raccontarlo al pubblico “interpellandolo solo durante il fundraising“, spiega Jean Leonard Touadi, consigliere del vice ministro agli affari esteri. Durante il dibattito sono stati esaminati tre esempi virtuosi della divulgazione di tematiche legate

NO a The Mission: la contestazione continua

Dopo mesi di proteste e distinguo, siamo giunti all’atto finale. Il reality The Mission, che vedrà persone legate al mondo dello spettacolo del calibro di Albano e Emanuele Filiberto impegnati in alcuni campi profughi dell’UNHCR, è arrivato alla fase delle registrazioni in studio. Lo scopo del programma? Secondo gli organizzatori, si tratta di un tentativo accattivante di portare a conoscenza del grande pubblico i problemi quotidiani di chi ha perso tutto e ha dovuto scappare dal proprio Paese. The Mission – Il mondo che il mondo non vuole vedere, è promosso da grandi organizzazioni come Unhcr e Intersos. Nonostante questo, gran parte delle associazioni impegnate da sempre nell’aiuto ai rifugiati ha fatto sentire la propria voce, esprimendo il proprio dissenso attraverso comunicati e petizioni, per chiedere la cancellazione del programma televisivo. Il braccio di ferro sembra non aver sortito gli effetti sperati. Il 26 novembre un numeroso gruppo di operatori del settore si è dato appuntamento davanti alla sede della RAI di Via Verdi 31, a Torino, dove sono ormai iniziate le riprese dello show. Hanno urlato a gran voce la loro opinione e hanno distribuito volantini in cui si descriveva dettagliatamente il motivo della loro posizione contraria.  Buonismo interessato Secondo gli aderenti alla protesta si tratta di un ulteriore tentativo di spettacolarizzare il dolore, che non mira affatto alla volontà di informare su quelli che sono i reali problemi dei rifugiati, legati alla mancanza di leggi comuni e organiche in tema di asilo. L’obiettivo sembra essere quello di suscitare l’emozione

I rifugiati siriani raccontati in un fumetto

Slate Magazine, un giornale on line nato nel 1996, ha pubblicato in ottobre “The Displaced”  una Nonfiction del fumettista Andy Warner. Il breve racconto a fumetti si concentra sulla grave crisi umanitaria che ha colpito la Siria e la sua popolazione. Attraverso l’arte figurativa, un mezzo di comunicazione e informazione sempre più utilizzato, si cerca di rendere noto al pubblico la situazione di povertà e di pericolo in cui versano i siriani travolti dalla guerra. All’inizio dei conflitti, le persone in fuga erano circa 2 milioni, saliti ora a più di 3. Si prospetta che verranno raggiunti i 5 milioni prima nel 2014. La maggioranza dei rifugiati si trova nei campi libanesi e giordani, dove si sentono abbandonati, nonostante le numerose promesse di aiuto arrivate dalle istituzioni. Più della metà della popolazione colpita ha meno di 18 anni. La Siria, infatti, si trovava in una condizione di pieno boom demografico prima della guerra. Anche i tentativi delle Nazioni Unite di raccogliere fondi non sono andati come ci si aspettava mentre a crisi umanitaria non ha precedenti, se non, forse, nel genocidio in Ruanda. Andy Warner invita i lettori a non considerare i numeri come segni di una massa di uomini senza volto. Oltre le cifre vi sono storie di povertà, paure, amori e sogni infranti. La matita del fumettista ha saputo catturare in maniera stupefacente e immediata una realtà di cui tutti dovremmo essere consapevoli. The Displaced: il fumetto integrale http://andywarnercomics.com: il sito dell’autore    

Nasce il primo garante dei rifugiati in Italia

La Regione Lazio ottiene un importante primato nella difesa dei diritti dei rifugiati. La giunta regionale ha, infatti, approvato l’istituzione del primo garante dei rifugiati in Italia. Ad annunciarlo è il presidente della Regione, Nicola Zingaretti.

Eventi

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IL DIRITTO D’ASILO - REPORT 2020

“Alcune volte è una fuga, altre una scelta, sempre contiene una speranza e una promessa. La strada di chi lascia la sua terra”. Una graphic novel che racconta alle nuove generazioni le storie, le persone e le ragioni delle migrazioni.

La vignetta

by Mauro Biani – Repubblica
maurobiani.it

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