In una “tre giorni” sull’isola, la prima “Assemblea per la Carta di Lampedusa” ha approvato un patto di impegno suddiviso in due parti: da un lato i principi di fondo, dall’altro la realtà delle politiche migratorie (da cambiare)…
Dal 31 gennaio al 2 febbraio, circa 300 persone di diversa appartenenza si sono riunite a Lampedusa rispondendo a un appello lanciato dalla rete di Melting Pot dopo i naufragi dello scorso ottobre. Ne è emerso in versione finale un documento, la Carta di Lampedusa, elaborato in una consultazione pubblica e condivisa on line.
Più che un elenco di richieste o una proposta normativa, la Carta, approvata il 1° febbraio dalla prima “Assemblea per la Carta di Lampedusa”, è «un patto» che unisce i sottoscrittori.
«Indipendentemente dal fatto che il diritto dal basso proclamato dalla Carta di Lampedusa venga riconosciuto dalle attuali forme istituzionali, statali e/o sovrastatali – si legge nel documento -, ci impegniamo, sottoscrivendola, ad affermarla e a metterla in atto ovunque nelle nostre pratiche di lotta politica, sociale e culturale».
«Le politiche di governo e di controllo delle migrazioni hanno imposto a quest’isola il ruolo di frontiera e confine, di spazio di attraversamento obbligato, fino a causare la morte di decine di migliaia di persone nel tentativo di raggiungerla. Con la Carta di Lampedusa si vuole, invece, restituire il destino dell’isola a se stessa e a chi la abita. È a partire da questo primo rovesciamento dei percorsi fino ad oggi costruiti dalle regole politiche ed economiche predominanti, che la Carta di Lampedusa vuole muoversi nel mondo».
Le convinzioni e la realtà (da cambiare)
Sul piano degli ideali, la Carta si fonda sul riconoscimento che «tutte e tutti in quanto esseri umani abitiamo la terra come spazio condiviso e che tale appartenenza comune deve essere rispettata. Le differenze devono essere considerate una ricchezza e una fonte di nuove possibilità e mai strumentalizzate per costruire delle barriere».
Nella Carta di Lampedusa un preambolo è seguito da due parti che intendono comunicare la “tensione” tra i desideri e convinzioni dei sottoscrittori e la realtà.
Nella prima parte trovano spazio i principi di fondo da cui muoverà l’impegno degli aderenti. La seconda, invece, riflette la necessità di confrontarsi con «la realtà disegnata dalle attuali politiche migratorie e di militarizzazione dei confini, con il razzismo, le discriminazioni, lo sfruttamento, le diseguaglianze, i confinamenti e la morte degli esseri umani che esse producono, affermando, rispetto a tale realtà, i punti necessari per un suo complessivo cambiamento».
Per un'”accoglienza diffusa”
Fra le proposte si sottolinea, tra l’altro, «la necessità di mettere fine al sistema di accoglienza basato su campi e centri per costruire invece un sistema condiviso nei diversi territori coinvolti, del Mediterraneo e oltre, basato sulla predisposizione, in ogni luogo, di attività di accoglienza diffusa, decentrata e fondata sulla valorizzazione dei percorsi personali, promuovendo esperienze di accoglienza auto-gestionale e auto-organizzata, anche al fine di evitare il formarsi di monopoli speculativi sull’accoglienza e la separazione dell’accoglienza dalla sua dimensione sociale».
All’incontro di Lampedusa hanno partecipato rappresentanti di movimenti antirazzisti, gruppi, associazioni e reti quali fra gli altri Terre des Hommes, Un ponte per, Archivio migranti, campagna LasciateCIEntrare, Global Project e Storie Migranti.
Come ha detto al Redattore sociale Nicola Grigion di Melting Pot, la Carta e l’incontro di Lampedusa rappresentano «un tentativo di dare una spinta collettiva ad alcuni temi, di allargare una battaglia. Il fatto di essere venuti a Lampedusa non è solo simbolico. Significa toccare con mano cosa vogliono dire le politiche delle migrazioni» anche «sui cittadini europei».
Collegamenti
Carta di Lampedusa: il testo approvato il 1° febbraio 2014
Carta di Lampedusa: il “Dokuwiki” per la stesura collettiva
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