Città e accoglienza di richiedenti asilo e rifugiati: nelle stesse settimane, in Spagna il Comune di Barcellona ha chiesto di poter accogliere direttamente dalla Grecia 100 rifugiati, mentre in Italia è emerso ufficiosamente che i Comuni sono stati capaci di coprire solo 5.000 dei 10 mila posti disponibili per il bando SPRAR 2016-2017, anche se il “cofinanziamento” a carico degli enti locali è stato drasticamente ridotto dal 20% al 5%.
Marzo 2016, qui Barcellona: “Madrid, se non ti muovi facciamo noi”
Alla fine il primo ministro facente funzioni Mariano Rajoy ha detto di no, facendo valere il principio che la competenza sul diritto d’asilo è dello Stato centrale. Il sindaco di Barcellona Ada Colau non poteva bypassare Madrid, però almeno ci ha provato: qualche giorno prima, in occasione di un incontro con il sindaco di Atene, aveva avanzato l’offerta di accogliere direttamente a Barcellona, in un progetto pilota, 100 rifugiati ospitati nella capitale greca.
Nell’accogliere persone che rischiano la vita perché non hanno alternative e non certo per capriccio, aveva detto Colau, «noi vediamo un obbligo morale e giuridico, ma anche una grande opportunità. Dal momento che siamo una città rifugio (il riferimento è al plan “Barcelona Ciutat Refugi”), diciamo al mondo chi vogliamo essere nei prossimi decenni: una città aperta, accogliente verso le persone e verso la vita». Perché «le città sono il luogo delle risposte immediate, dove le decisioni si fanno concrete».
Qui forse bisogna fare la tara di un po’ di storico autonomismo catalano. Però Colau ha ricordato, tra l’altro, che il governo centrale spagnolo si è impegnato ad accogliere in due anni migliaia di rifugiati e richiedenti asilo in “ricollocazione” o in “reinsediamento”, ma finora quelli trasferiti sono appena 18.
Marzo 2016, qui Italia: “SPRAR no grazie, troppa responsabilità”
È emerso ufficiosamente che per il bando 2016-2017 di 10 mila posti nello SPRAR (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati), dai Comuni del Belpaese sono arrivati progetti per appena 5.000 posti di accoglienza. Il bando è scaduto alla metà di febbraio, dopo che il termine era già stato prorogato di un mese.
Sarà la “crisi”, saranno le mille pratiche cui bisogna tener dietro, saranno le imminenti amministrative di primavera, e quindi meglio non “esporsi” con scelte “impopolari”. Fatto sta che questo bando biennale è stato un mezzo flop. Anche se la percentuale di co-finanziamento a carico dei Comuni questa volta era scesa drasticamente ad appena il 5% dei costi totali, contro il 20% del passato.
Chi amministra i Comuni «ha paura di perdere voti – ha commentato a Redattore sociale, in queste settimane, il direttore della Fondazione Migrantes mons. Gian Carlo Perego -. Persiste una lettura ideologica del tema che però, nei fatti, sta indebolendo il sistema unico di accoglienza a favore delle nuove “mafie”. Tutto ciò comporta uno spreco di risorse, mentre con queste stesse risorse i Comuni potrebbero assicurare più mediatori culturali e più servizi che andrebbero a beneficio della realtà sociale di tutto il territorio».
All’inizio di questo 2016 i richiedenti asilo e i rifugiati accolti nei progetti degli enti locali della rete SPRAR (quelli che offrono i servizi integrati più vicini gli standard europei) erano quasi 20 mila (poco al di sotto dell’anno precedente), mentre le persone presenti nei CAS, che fanno capo alle Prefetture, quasi quattro volte tanto, oltre 76 mila (il doppio rispetto all’anno passato).
Due sistemi, due realtà responsabili: per i progetti SPRAR la comunità del territorio rappresentata dall’ente locale (Comuni e qualche Provincia), per i CAS l’organo periferico dello Stato. Ma anche due diversi sistemi di rendicontazione per i gestori: severo quello dello SPRAR, in base alle spese effettive; “certificato” su generiche relazioni, fatture e ispezioni casuali nel sistema dei CAS. È (anche) per questo che la proporzione delle persone accolte è diventata di una a quattro.
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