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Grecia, continuano i respingimenti collettivi

Se l’accordo per le deportazioni in Turchia rischia di rimanere solo un lontano ricordo e i rimpatri forzati nel paese d’origine sono il più delle volte difficili o impossibili (vedi nell’approfondimento precedente), non “restano” che i respingimenti collettivi. La Guardia Costiera ellenica ha fatto massiccio ricorso a questa pratica illegale a partire dal marzo 2020: le denunce e le testimonianze.  

Mar Egeo, 27 marzo 2020: la Guardia Costiera turca soccorre alcuni migranti su una piccola “zattera” di salvataggio gonfiabile (foto Comando della Guardia Costiera turca).

 

di Pietro Derossi, Maggio 2020, da Lesbo (segue dalla corrispondenza del 1° giugno)

Se l’accordo per le deportazioni in Turchia rischia di rimanere solo un lontano ricordo e i rimpatri forzosi nel paese di origine sono il più delle volte difficili o impossibili, non resta che il respingimento collettivo di chiunque si avvicini alle frontiere della Grecia.   

Questa pratica illegale, in contrasto con il principio di non-refoulement ed il diritto d’asilo, è stata  massicciamente posta in essere da parte della Guardia Costiera greca a partire da marzo 2020 (in concomitanza con l’uscita di Erdogan dal patto con l’Europa); e continua a verificarsi e venire denunciata da più ONG impegnate sul campo. In particolare, continuano ad essere riportate condotte di confisca del carburante e/o distruzione del motore; traino delle imbarcazioni verso le acque turche e abbandono di imbarcazioni precarie e insicure alla deriva; spari di arma da fuoco vicino all’imbarcazione per forzare il ritorno del gommone verso la Turchia.

Dalle testimonianze raccolte pare che la Guardia Costiera greca, in queste circostanze, agisca con uomini vestiti di nero e con il volto parzialmente coperto da una maschera.

Alcuni media greci hanno anche riportato attività di respingimento successive all’approdo dei migranti sul suolo ellenico. In un caso di fine aprile le persone sono state reimbarcate e riportate dalla Guardia Costiera greca su un piccolo isolotto (Bogaz) di fronte alla Turchia. Altre testimonianze e immagini della seconda metà di marzo rivelano di persone lasciate alla deriva in acque turche in tende arancioni galleggianti.

In molti casi le autorità turche non intervengono nel salvataggio delle persone respinte dalle autorità greche in acque turche, ma paiono piuttosto impegnate a documentare le azioni illegali della Guardia Costiera ellenica.

I richiedenti asilo che muoiono in mare nel tentativo di raggiungere l’Europa eludendo i controlli sono tanti da molti anni. Le attività di respingimento in mare da parte di navi europee possono produrre e hanno prodotto ulteriori vittime. Alcune di queste tragedie si possono ricordare perché sono state documentate e hanno raccolto l’attenzione del palazzo a forma di bilancia collocato a Strasburgo: la Corte Europea dei Diritti Umani.

Un caso è quello di Safi and others v. Greece: otto bambini e tre donne afghane sono affogate vicine alle coste di Farmakonisi durante un tentativo di respingimento e una pericolosa azione di traino dell’imbarcazione da parte della Guardia Costiera greca. Nello stesso anno, un migrante ha perso la vita e uno è rimasto ferito a seguito di colpi di arma da fuoco sparati contro l’imbarcazione dalle autorità greche. Questo caso (Αlkhatib and others v. Greece) come il primo sono pendenti dinanzi alla Corte di Strasburgo.

Ad ogni modo non sembra che il lavoro delle toghe rappresenti un efficace deterrente per il Governo greco.

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Osservatorio Isole è uno spazio di testimonianza in prima persona e di analisi sullo stato di malattia del diritto alla protezione internazionale in Europa, e prende le mosse dall’ultima offensiva militare del regime siriano nella provincia di Idlib e dalla conseguente decisione del presidente turco Erdogan di aprire ai profughi i propri confini verso l’Unione europea, alla fine di febbraio 2020.

Gli articoli e le notizie principali sono a cura di Pietro Derossi (pietro_derossi91@outlook.com), laureato in Giurisprudenza all’Università di Torino e abilitato alla professione forense. Derossi vive in Grecia dal giugno 2019, dove ha lavorato con diverse ONG impegnate sul campo nell’assistenza legale dei richiedenti asilo nonché per l’Ufficio Europeo di Sostegno per l’Asilo (EASO). Ha visitato i campi profughi di Samo, Chio e Lesbo, e attualmente risiede a Lesbo. Intende rivolgersi «soprattutto a chi, pur non lavorando nel settore, è cittadino accorto e impegnato a informarsi: costui contribuisce a mantenere intatto il sogno della democrazia».

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