“Siamo entrati nella terza guerra mondiale”: sono queste la parole che solo poche settimana fa Papa Francesco ha pronunciato a proposito dei numerosi conflitti in atto nel mondo. Un’espressione forte, che non lascia dubbi e che interroga tutti sulle conseguenze di questa guerra “a pezzetti”. Prima fra tutte la questione che riguarda le popolazioni civili in fuga: è sotto gli occhi di tutti l’aumento di rifugiati e richiedenti asilo, per non dire di profughi, causati da queste situazioni: Siriani, Palestinesi, Sudanesi, Ivoriani, Palestinesi, Ucraini, Maliani, Nigeriani, Iracheni, Curdi sono solo alcuni dei popoli che si trovano ora in grande difficoltà.
Pattugliare per salvare
Di fronte a tutto questo l’operazione “Mare Nostrum” aveva rappresentato sicuramente un passo in avanti. Il criterio che l’aveva ispirata era un criterio umanitario: prima di tutto bisogna salvare le persone in mare. Molto ragionevole e molto concreto. Logica avrebbe voluto che di fronte all’incrudescenza dei conflitti, questo tipo di approccio venisse rinforzato, adottato non solo a livello italiano, ma di tutta l’Unione europea. “Mare Nostrum” infatti prevede operazioni di soccorso e pattugliamento anche in acque internazionali a circa 170 miglia dalla costa. Nonostante questo modo di operare, centinaia di persone hanno perso la vita in mare, ma è proprio grazie a “Mare Nostrum” che invece molte migliaia di uomini, donne e bambini sono stati salvati.
Mare di chi?
Pare però che così non sarà più in futuro. L’Italia, attraverso il ministro Alfano, ha fatto capire chiaramente che non si farà più carico di questo tipo di operazioni, ritenute troppo costose e ha incontrato la Commissaria europea per gli affari interni Cecilia Malmstroem per proporre azioni comuni a livello di Unione europea. Si è così fatta l’ipotesi di una nuova operazione, “Frontex plus”, che, a quanto pare, limiterà il proprio intervento al limite delle acque territoriali europee, a 12 miglia dalla costa. L’ASGI (Associazione per gli Studi Giuridici sull’immigrazione) e il Centro Astalli hanno espresso tutta la loro preoccupazione rispetto a questi nuovi sviluppo. In particolare l’ASGI evidenzia come“sono trapelate indiscrezioni sull’ opportunità di mettere in campo strategie finalizzate a contrastare le partenze attraverso accordi con Paesi terzi e, addirittura, fonti informali della Commissione (non smentite) hanno parlato di ipotesi di ‘dirottamenti’ delle barche dei migranti, un’espressione che pare riproporre in sostanza lo spettro dei respingimenti sulla cui illegalità la Grande Camera della Corte Europea dei diritti dell’Uomo si è espressa con chiarezza con la Sentenza Hirsi del 23 febbraio 2012 con la quale condannò proprio la politica italiana dei respingimenti”. L’Associazione inoltre fa appello al Governo italiano, alla Commissione e al Parlamento europei e all’UNHCR perchè vengano per lo meno salvaguardate le modalità di intervento di “Mare Nostrum”, mentre P. Giovanni La Manna, presidente Centro Astalli, commenta così l’incontro di Bruxelles: “L’Europa non risolverà mai il problema di mettere in sicurezza le persone, se non risponderà in maniera efficace e strutturale alla domanda: una persona che oggi scappa dall’Iraq, dalla Somalia, dall’Eritrea, dalla Siria come fa ad arrivare in maniera legale in Europa per chiedere asilo? Ad oggi i governi nazionali europei hanno più volte dimostrato di non voler dare una risposta, ignorando semplicemente la questione”.
Difendere la frontiere
E’ fin troppo evidente che il passaggio da “Mare Nostrum” a “Frontex Plus” pare configurarsi come un cambiamento da una strategia umanitaria di soccorso a quella di contenimento e respingimento.
La realtà dei fatti è, purtroppo, fin troppo chiara: se le ipotesi operative di “Frontex plus” non verranno cambiate, questo significherà che tra il limite delle 170 miglia delle acque internazionali ora pattugliate e le 12 miglia di quelle territoriali ci sono 158 miglia di un “vuoto” pronto ad inghiottire chissà quante altre vite in fuga.
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