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Un piccolo “dossier tascabile” per fare il punto su una domanda scomoda e imbarazzante: l’Europa della libertà è ancora terra d’asilo? Il disastro umanitario globale (in cui anche l’Occidente ha le sue responsabilità). Quello che avviene alle collaboranti frontiere d’Italia e di Grecia. La finzione della Turchia “Paese sicuro”, un modello che l’UE intende esportare anche in Africa. Ma anche, di conseguenza, una seconda domanda: come si può resistere a tutto questo? 

Foto Parlamento Europeo.
Foto Parlamento Europeo.

 

Dati, comunicati, notizie di cronaca, report e rapporti, summit e sedute, proclami politici a ripetizione: sulla “crisi rifugiati” in Europa sembra sempre più difficile orientarsi. Mentre in questi giorni ci si è messa anche la Brexit, con le sue possibili ricadute. Ma in definitiva, «l’Europa è ancora un rifugio per i rifugiati?».

Ha provato a rispondere un recente e breve convegno organizzato con questo titolo, a Torino, nell’ambito dell’iniziativa “Apriti Europa!” del coordinamento Non solo asilo e di Mosaico-Azioni rifugiati. Quello che segue è un piccolo “dossier” che prende lo spunto, con alcuni aggiornamenti, dalle questioni-chiave emerse durante l’incontro (nel quale sono intervenuti Maurizio Veglio dell’ASGI, Cristina Molfetta come presidente di Non solo asilo e Chiara Andena dell’associazione Acmos).

Nel mondo il disastro, in Europa le barriere (e i muri fai da te)

«L’Europa è ancora un rifugio? Sarebbe meglio chiedersi se lo è mai stata. Alcuni Paesi sì, ma altri, come l’Italia, ancora oggi di certo non si segnalano nell’accompagnamento all’autonomia…».

Nel mondo è “crisi” umanitaria vera: a fine 2015 le persone costrette all’emigrazione forzata a causa di guerre, violenze e persecuzioni hanno superato i 65 milioni (erano 59 milioni l’anno prima, dati UNHCR). In tutto questo l’Occidente ha le sue responsabilità, dagli interventi militari negli ultimi 15 anni in Afghanistan e in Irak allo sfruttamento delle risorse e al commercio di armamenti. Ma, a conti fatti, rimane tuttora ai margini del disastro umanitario globale: l’86% dei rifugiati sotto mandato UNHCR, quasi nove su 10, sono accolti dai cosiddetti Paesi in via di sviluppo.

Sempre a fine 2015 la Turchia contava almeno 2,5 milioni di rifugiati nei suoi confini, il Pakistan 1,6. Il Libano uno ogni cinque abitanti. In Europa occidentale, invece, si scendeva a 316 mila rifugiati in Germania, a 273 mila in Francia, a 118 mila in Italia. Mentre Paesi come la stessa Italia e la Grecia continuano a registrare numeri di richieste d’asilo relativamente bassi in rapporto ad altri Stati europei.

Però intanto, di fronte al disastro globale, la stessa Europa che è stata protagonista dell’adozione della Convenzione di Ginevra del 1951 sullo status dei rifugiati si sfalda fra accuse reciproche, tavoli, vertici, Consigli, sorde resistenze all’ombra di muri “fatti in casa”.

“Ristabilire la fiducia”

Ue-filo-spinatoL’UE ha voluto gli hotspot di identificazione per “ristabilire la fiducia” con Italia e Grecia. Nel nostro Paese si riesce ormai a identificare quasi tutti i migranti e potenziali richiedenti asilo sbarcati.

Però la ricollocazione (relocation) di richiedenti asilo da Italia e Grecia negli altri Paesi membri dell’UE continua a esibire numeri imbarazzanti (rispettivamente 789 e 1.994 persone allo scorso 30 giugno, sul totale di 160 mila previste).

È più dignitoso, se non altro, l’ultimo programma di reinsediamento (resettlement): circa 22 mila i posti promessi dai Paesi dell’Unione, 7.300 i rifugiati effettivamente reinsediati al 10 del mese scorso, soprattutto da Turchia, Libano e Giordania.

Il resettlement di 511 siriani è avvenuto nell’ambito dell’accordo “uno a uno” con la Turchia del 18 marzo. Sono infatti 462 (compresi 31 siriani) i «migranti irregolari» che in Grecia «non hanno presentato domanda di asilo» e che sono stati trasferiti in Turchia.

Hotspot? “Approccio hotspot”, prego

Con le politiche europee l’Italia si dimostra collaborativa e disponibile. Abbiamo ottenuto uno sconto sui parametri di stabilità di bilancio anche per il nostro carico di accoglienza, ma fin dall’inizio abbiamo accettato parametri di relocation sfavorevoli e (finora) quattro hotspot. «Dei “non-luoghi”, questi ultimi, se guardiamo alla nostra legislazione (e infatti ti parlano di “approccio hotspot“…)», dove si moltiplicano irregolarità e abusi: sommarie suddivisioni a priori fra migranti “economici” e possibili rifugiati, lunghi trattenimenti illegittimi, fogli di respingimento collettivi senza informazioni sul diritto d’asilo.

«L’obiettivo è l’identificazione delle persone, o con la forza o sfinendole con un trattenimento prolungato, senza fermo dell’autorità giudiziaria. Lo “scambio” è chiaro: no fingerprints, no rights. Solo una volta identificato torni a essere persona», ma sei comunque bloccato in Italia. Sempre che tu non abbia la fortuna di essere siriano, irakeno o eritreo (in questi ultimi casi, peraltro, senza il diritto di scegliere il Paese di relocation magari per affinità linguistiche, per la presenza di familiari o di migranti della tua comunità nazionale).

(segue nella news successiva)

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