Per tornare a un clima più respirabile, aggiunge il coordinamento, non basterà certo rafforzare il presidio delle forze dell’ordine (vale a dire, non basteranno neanche i 150 militari chiesti per la città da sindaco e prefetto).
«Questo contesto – infatti – ha bisogno soprattutto di reali percorsi di inclusione e integrazione. La società civile, di cui noi siamo parte attiva, ormai da anni fa la propria parte per mediare e alimentare la solidarietà, ma solo lavorando insieme alle istituzioni si potranno trovare quelle soluzioni che garantiscano i diritti di tutti i residenti».
“Clandestini”?
Riflessioni di Non solo asilo a parte, in questi giorni è emerso, come dato provvisorio dell’ultimo censimento istituzionale, che almeno 1.000 su 1.190 persone residenti nelle quattro palazzine occupate dell’ex MOI (fra cui forse una quarantina di famiglie) sono titolari di uno status di protezione.
Non è certo una sorpresa per chi conosce almeno per sommi capi la vicenda dell’occupazione delle palazzine, ma è un dato che consegna al ridicolo le recenti affermazioni di politici locali secondo cui «oggi dei 1.200 occupanti sono pochi i profughi, la maggior parte sono in realtà clandestini».
La giunta del sindaco Appendino avrebbe già un piano concordato con la Prefettura per «liberare» già nel febbraio 2017 una delle palazzine «con percorsi alternativi di inserimento per chi ne ha diritto». Ma è chiaro che, dopo anni di inerzia, sarà dovere soprattutto della Città e degli organi dello Stato di mettere in campo le risorse necessarie per un’accoglienza dignitosa dei rifugiati di via Giordano Bruno.
Collegamenti
Al di là delle abbondanti ricostruzioni mediatiche delle ultime settimane, per una “storia” realistica dell’occupazione delle palazzine dell’ex villaggio olimpico di Torino non si può non tener conto (anche) dell’esperienza del Comitato di solidarietà rifugiati e migranti dell’ex MOI e della Salette: clicca qui per le vicende fino al 2015 e qui per i fatti pre- e post- 23 novembre 2016
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