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Giovani nigeriani ai tempi di Boko Haram/ 2

E., 21 ANNI, NIGERIANO, condivide un appartamento a Torino Nord con altri giovani connazionali. Quando entriamo nella sua stanza veniamo per un attimo catapultati in un altro mondo: ovunque vediamo immagini sacre e simboli religiosi e, come in una chiesa evangelica, tutto sembra “muoversi” al ritmo della musica liturgica che esce ad alto volume da un piccolo stereo…

lestorie_crowd04Prima di entrare in camera, quasi a farci rispettare la sacralità del luogo, E. ci chiede di toglierci le scarpe e di attenderlo mentre finisce le sue preghiere quotidiane. Dopo alcuni minuti iniziamo a parlare e subito ci racconta di quanto sia stata importante la preghiera per la sua sopravvivenza durante il viaggio dalla Nigeria. “Dio mi ha salvato perché lo pregavo continuamente di farmi arrivare vivo, non sarei mai potuto sopravvivere in mare tutti quei giorni senza cibo e senza acqua”.

Dal racconto di E. si capisce che le condizioni del viaggio sono state durissime. Questi sette terribili giorni in mare si aggiungono ad altri interminabili giorni di viaggio che dalla Nigeria gli hanno fatto attraversare il Niger prima e la Libia poi.

“Ero il preferito di mio padre…”

L’ha spinto a scappare dal suo villaggio natale una grave minaccia: “I miei fratelli mi hanno minacciato di morte, volevano uccidermi per motivi economici, credevano che io avessi rubato dei soldi che non mi spettavano”. Una faida familiare, probabilmente per un’eredità che spettava a lui e che i fratelli non hanno mai accettato: “Io ero il preferito di mio padre e questo a loro non andava bene. Quando mio padre ha cercato di difendermi hanno minacciato anche lui, ed ora vive in un altro villaggio”.

A Torino E. frequenta la chiesa del quartiere, ed è ascoltando la messa tutti i giorni che ha potuto imparare l’italiano e conoscere la comunità della parrocchia: “Il parroco ci aiuta molto, spesso ci regala cibo e vestiti, qui sto bene perché ho una casa”.

Le baracche di Messina

In Italia la sua nave è arrivata ad Agrigento nell’estate del 2014 e poco dopo è stato mandato a Messina, dove è rimasto due settimane e due giorni. “A Messina ci hanno sistemati in baracche fatiscenti, era proprio una specie di baraccopoli, e per di più ci davano da mangiare solo una volta al giorno”.

Adesso a Torino E. frequenta i corsi del CTP. In Nigeria aveva dovuto abbandonare la scuola per motivi economici: “Ho studiato fino alla seconda elementare, però poi non potevo continuare perché dovevo aiutare mio padre nei lavori dei campi”.

Testimonianza raccolta dalla Redazione di Vie di fuga, 2015

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