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Global compact/2: “Una responsabilità condivisa per dare risposte ai grandi movimenti di rifugiati”

Come il Compact per la migrazione (vedi news precedente), il Compact ONU sui rifugiati ha trovato una prima, primissima stesura in una “bozza zero”. Dallo scorso febbraio al prossimo luglio si svolge una fase di consultazioni formali, da cui uscirà la versione finale che l’UNHCR proporrà all’ONU a settembre. Quattro gli obiettivi-chiave dettagliati con misure concrete nel documento: alleggerire la pressione sui Paesi che accolgono più rifugiati; costruire fra i rifugiati fiducia in se stessi e autonomia; ampliare l’accesso al “resettlement” e ad altre soluzioni; promuovere le condizioni per il rimpatrio volontario dei rifugiati.

In primo piano, uno studente burundese della scuola secondaria “Hope”, “speranza”, nel campo rifugiati di Nduta, Tanzania (foto UNHCR/Georgina Goodwin).

 

L’iter e l’impianto del Global compact sui rifugiati sono affidati al coordinamento dell’UNHCR. Per l’Alto commissariato questo accordo offrirà «un’apportunità unica per rafforzare la risposta internazionale ai grandi movimenti di rifugiati, sia protratti nel tempo che nuovi».

Quattro gli obiettivi-chiave: alleggerire, tramite la cooperazione internazionale, la pressione sui Paesi che accolgono più rifugiati; costruire fra i rifugiati fiducia in se stessi e autonomia; ampliare l’accesso al reinsediamento (resettlement) in Paesi terzi e ad altre soluzioni; promuovere le condizioni per il rimpatrio volontario dei rifugiati.

Il Compact avrà due parti principali: il Comprehensive refugee response framework (CRRF, quadro complessivo di risposta per i rifugiati) già contenuto nell’annex 1 della Dichiarazione di New York, e un Programme of action (programma d’azione) ispirato a buone pratiche e che conterrà misure specifiche perché gli Stati e la comunità internazionale possano mettere in pratica il CRRF più agevolmente.

CRRF, lavori in corso

Il CRRF è pensato per i movimenti di rifugiati e mira ad assicurare 1) misure di accoglienza e ammissione rapide e «ben supportate», 2) supporto per i bisogni immediati e protratti (protezione, salute, educazione ecc.), 3) assistenza alle istituzioni nazionali e locali e alle comunità ospitanti e investimenti per la resilienza dei rifugiati e le stesse comunità locali, e 4) un ampliamento delle opportunità di “soluzioni durevoli” (cioè il rimpatrio volontario, l’integrazione nelle terre di accoglienza e il reinsediamento).

In collaborazione con l’UNHCR, in Africa il CRRF è già stato accolto da Gibuti, Etiopia, Kenya, Ruanda, Uganda e Zambia ed è già applicato in Somalia, mentre in America centrale Belize, Costa Rica, Guatemala, Honduras, Messico e Panama applicano già un “quadro complessivo regionale di protezione e soluzioni” per affrontare i fenomeni dello sradicamento forzato nella regione.

Quanto al Programme of action, dovrà facilitare «l’applicazione di risposte complessive in aiuto dei Paesi particolarmente interessati da grandi movimenti di rifugiati, da una loro presenza di lunga durata o da altri fenomeni» (fra cui «le situazioni miste con rifugiati e migranti»).

Compact rifugiati, al centro c’è il “programma”

(Foto United Nations 2017).

All’inizio della “bozza zero” del Compact rifugiati troviamo una breve introduzione e il rimando al testo integrale del Comprehensive refugee response framework (CRRF) della Dichiarazione di New York del 2016, mentre alla fine si trova la previsione delle misure di “follow-up” (fra cui un primo bilancio dell’applicazione del compact nel 2021, 70° anniversario della Convenzione di Ginevra sullo status dei rifugiati).

 La parte centrale del documento è invece il Programme of action, suddiviso in due sottosezioni.

La prima presenta le “Principali modalità per la condivisione di oneri e responsabilità”: misure di coordinamento nazionali, la convocazione di una “piattaforma globale” al bisogno, conferenze di solidarietà, finanziamenti aggiuntivi, organizzazioni regionali, approccio “multi-stakeholder” e statistiche tempestive e affidabili per attuare politiche fondate sulle situazioni reali.

La seconda sottosezione, “Supporto per l’applicazione del CRRF”, prevede “misure cooperative” per le voci del Comprehensive framework.  Fra le misure per la voce  “Accoglienza e ammissione”: pianificazione prima delle emergenze; meccanismi regionali di preallarme e prevenzione; registrazione fin dall’inizio dei rifugiati con necessità particolari (ad es. i minori non accompagnati); ricorso alla fornitura di servizi locali; “spazi sicuri” e supporto speciale ancora per le situazioni di bisogno particolari (minori non accompagnati, vittime di tortura o violenza, disabili); l’istituzione da parte dell’UNHCR di un “gruppo di supporto alla capacità d’asilo” per i Paesi interessati. Infine, per proteggere le vittime di disastri naturali e del cambiamento climatico, si prevede l’utilizzo sia di convenzioni regionali per i rifugiati, sia dello status della protezione umanitaria o sussidiaria.

Fra le misure per le voci “Risposta ai bisogni” e “Supporto alle comunità ospitanti”, «intrinsecamente connesse»: il superamento dei “tradizionali” campi-rifugiati in parallelo allo sviluppo dei servizi educativi, sanitari, di inserimento al lavoro e per il sostentamento, sia a favore dei rifugiati che delle comunità locali; supporto tecnico e finanziario per le “sfide” poste dai bisogni di alloggio e dai problemi ecologico-ambientali nelle zone di ospitalità (con attenzione all’uso delle energie rinnovabili); lotta all’apolidia («insieme causa ed effetto di sradicamento»); promozione della partecipazione e della leadership femminile; prevenzione della violenza sessuale e “di genere”.

Fra le misure per la voce “Soluzioni” (durevoli): per il rimpatrio volontario, l’offerta di opportunità economico-sociali nei Paesi d’origine. Per il resettlement, l’“esplorazione” di un processo di impegno pluriennale da parte dei Paesi terzi; tempi più stringenti per la presa in carico, da parte dei Paesi terzi, dei rifugiati per cui si sono impegnati (il 25% della quota annua entro sei mesi dall’assegnazione da parte dell’UNHCR); e il coinvolgimento di attori privati e di società civile (come già avviene nei “corridoi umanitari” italiani organizzati da Sant’Egidio e dalle Chiese evangeliche e cattolica). Per l’integrazione nei Paesi di accoglienza, l’adozione di “quadri strategici” ad hoc nelle regioni e nei Paesi interessati, in cooperazione con gli “stakeholder” del settore («Un certo numero di Stati ha trovato conveniente muovere dei passi per la piena integrazione dei rifugiati, fra cui la concessione di permessi di soggiorno di lunga durata o permanenti, o della cittadinanza»). Ma si elencano altre soluzioni ancora: meccanismi di ricongiungimento familiare più aperti e semplici, programmi di sponsorship privati o di comunità locale, borse di studio per studenti e, infine, programmi pilota per valutare le opportunità di mobilità lavorativa per i rifugiati. (sintesi a cura di Vie di fuga sull’originale inglese)

Appuntamento a settembre

Anche il Compact rifugiati ha trovato una prima, primissima formulazione in una “bozza zero”, completata dall’UNHCR a fine gennaio 2018, dopo una fase di discussioni tematiche con Stati membri, ONG, esperti accademici e non, gruppi di advocacy e altri soggetti del settore, e una fase di bilancio-inventario su quanto acquisito, che si sono svolte entrambe nel 2017.

Dallo scorso febbraio al prossimo luglio, sulla base della “bozza zero” è partita una fase di consultazioni formali da cui uscirà il testo finale (non vincolante per gli Stati) che l’UNHCR proporrà a settembre nel suo rapporto annuale all’ONU.

(segue)

Allegato

La “bozza zero” del Compact sui rifugiati (gennaio 2018, file .pdf, in inglese)

A breve in questo dossier di Vie di fuga

Le proposte della Chiesa di papa Francesco

Global compacts: i giudizi, le questioni aperte, cosa dovrebbe (potrebbe) cambiare con la loro adozione

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