La rivista ha dedicato un ampio focus ai delicati, cruciali colloqui in Commissione territoriale dei richiedenti asilo: un quadro di (alcune) luci e (molte) ombre.
«Valutare le domande d’asilo»: argomento tecnico, troppo tecnico? Nossignori, argomento più che mai d’attualità, specialmente dopo le 123 mila richieste di protezione e l’impennata dei dinieghi registrate nel 2016 nel nostro Paese. Doveva pensarla così fin dallo scorso autunno l’attrezzato bimestrale Welfare oggi, che ha dedicato un ampio “focus” sull’ultimo numero, quello di novembre dicembre, ai delicati, cruciali colloqui dei richiedenti asilo in Commissione territoriale.
Tre le parti del dossier della rivista: un servizio di inquadramento, “Il colloquio del richiedente davanti alla Commissione territoriale: approcci, metodologie per la valutazione delle richieste di protezione internazionale”, la scheda “I numeri della protezione internazionale, gli esiti delle richieste di asilo” e l’intervista “Commissioni territoriali, cosa è possibile migliorare” a Cristina Molfetta di Vie di fuga e presidente del coordinamento piemontese Non solo asilo.
“Chi va oggi in Commissione?”
Ne emerge un quadro di (alcune) luci e (molte) ombre. Le Commissioni territoriali sono formate da un rappresentante della Prefettura, uno della Polizia di Stato, uno di un ente locale e uno designato dall’UNHCR. Oggi questi funzionari, come i loro colleghi in Europa, hanno a disposizione anche una guida pratica dell’EASO su come devono condurre i colloqui con i richiedenti.
Ma almeno in Italia i problemi non mancano. A partire dai funzionari designati. «I primi tre (cioè i rappresentanti di Prefettura, Polizia ed ente locale, ndr) provengono da carriere in altri uffici, svolgono prevalentemente altre mansioni e sono designati insieme a propri colleghi per ricoprire a turno – ad esempio una volta la settimana – il lavoro in Commissione».
Inoltre «nei criteri di selezione non vi è né la conoscenza di lingue veicolari o di aree di provenienza dei richiedenti asilo né particolari competenze legali, psicologiche o culturali sulle aree geografiche da cui questi provengono, per cui è evidente che la capacità di discernimento delle diverse situazioni risulta assai limitata».
Quando (per fortuna) carta canta
Queste invece le “luci”: «Solo pochi anni fa… la mediazione linguistica e culturale in sede di colloquio era approssimativa e rifletteva conoscenze solo generiche sui contesti geografici e politici di provenienza dei richiedenti; oggi questo tipo di assistenza è molto più appropriato, e non mancano i casi di dedizione e competenza individuale di singoli commissari e le “buone pratiche”».
Ad esempio oggi si considerano con attenzione anche i certificati medici ed etno-psichiatrici «che attestano una vulnerabilità o il fatto che il richiedente sia stato vittima di violenza: in questi casi casi il colloquio viene sospeso per fare i necessari approfondimenti». E si lavora documentandosi su “schede Paese“, i Paesi di provenienza dei richiedenti asilo, sempre più accurate.
Esame “collegiale”?
Però «insieme ai passi avanti vi sono i passi indietro, come il venir meno della collegialità del colloquio». Purtroppo infatti, per l’aumento di domande di protezione negli ultimi anni, «anche se la decisione è formalmente collegiale» sempre più spesso «il richiedente è ascoltato da una sola persona della Commissione, e quindi la realtà è che chi lo ascolta diventa la persona che influenza più pesantemente la decisione finale».
Il ministero dell’Interno ha nel cassetto qualche idea di riforma. Ma per il momento la tara principale del sistema di ascolto italiano rimane quella della «strutturazione approssimativa delle Commissioni, estranea a percorsi di studio e professionali specifici, cosa che di per sé rischia di essere ostativa a consolidare una valutazione delle richieste di asilo che non sia così fortemente influenzata da elementi occasionali e contingenti come purtroppo ancora oggi può succedere».
A Brescia 97% di dinieghi, a Trieste 10%…
Il focus di Welfare oggi denuncia così un vero caso limite: «Nell’ultimo trimestre la Commissione territoriale di Brescia si esprime nel 97% delle volte in termini di diniego e nello stesso tempo quella di Trieste in quasi il 90% dei casi con pronunciamenti di accoglimento. È evidente che a cambiare non sono le situazioni dei richiedenti asilo che provengono da aree simili e si confrontano con situazioni simili, ma la maniera in cui sono valutati dai commissari delle due Commissioni. La realtà è che, in assenza di direttive uniformi, ogni Commissione territoriale – spesso ogni caso esaminato, visto che i commissari ruotano e che la collegialità, come si diceva, è venuta meno – fa storia a sé».
Così «vi sono colloqui di mezz’ora e altri di due ore, con una attenzione e disponibilità all’ascolto molto diverse; vi sono casi in cui una Commissione territoriale risente a distanza di tempo il richiedente, soprattutto se coglie la presenza di elementi su cui questi esprime fatica nel racconto, ma anche questo dipende dallo scrupolo di ciascuna Commissione territoriale e a volte di ciascun commissario. Il risultato è che l’accoglimento o meno di un’istanza è troppo spesso legato a elementi che hanno poco a che fare con l’effettiva comprensione e valutazione della situazione del richiedente».
Allegato
“Valutare le domande d’asilo”, il focus (Welfare oggi, novembre-dicembre 2016, file .pdf 3,70 mbyte)
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