Non sempre le Commissioni e l'”Unità” (di Dublino) decidono secondo giustizia. Nel giro di una settimana l’Asgi ha dato notizia di tre sentenze e di un’ordinanza che ribaltano tre dinieghi di protezione e annullano un respingimento.
“Sarai un ‘Dubliner’, ma non possiamo rimandarti in Grecia”. K.K., cittadino del Congo, chiede asilo in Italia nel 2009. Ma un controllo sul sistema Eurodac per il riscontro delle impronte digitali a livello europeo rivela che l’uomo ha fatto ingresso nell’Ue attraversando il confine della Grecia. Scatta la procedura del regolamento “Dublino II” e la nostra Unità Dublino dispone il trasferimento dell’uomo in quel Paese. Ma in seguito a un ricorso il Tar del Lazio ha annullato il provvedimento con una sentenza depositata lo scorso 9 maggio. Il Collegio giudicante nella sua decisione ha richiamato sia la sentenza “Mss c. Belgio e Grecia” della Corte europea dei diritti dell’uomo del 21 gennaio 2011, sia quella della Corte di giustizia dell’Ue del 21 dicembre 2011 (procedimenti riuniti C-411/10 e C-493/10). Quest’ultima ha riconosciuto che è contraria al diritto dell’Ue la presunzione assoluta che lo Stato membro individuato come competente per l’applicazione del regolamento “Dublino II” rispetti i diritti fondamentali dell’Unione.
Quattro anni e mezzo per ottenere giustizia. Una donna, cittadina del Bangladesh, ha chiesto asilo in Italia perché in patria aveva subito minacce e persecuzioni a causa dell’attività politica del marito nel partito Jatiya. L’uomo era stato costretto a lasciare il proprio lavoro all’Università e poi anche a chiudere la proprià attività commerciale. La domanda di protezione della donna era stata respinta dalla Commissione territoriale di Roma nel luglio 2007 e una seconda volta nel 2008 (quest’ultimo diniego le era stato notificato dalla Commissione 10 mesi dopo!). Un ulteriore ricorso della donna non era stato ammesso dal Tribunale della capitale con la motivazione che era stato presentato in ritardo. Ma nel febbraio di questo 2012, quattro anni e mezzo dopo il primo diniego, la Corte d’Appello di Roma le ha riconosciuto con sentenza definitiva lo status di rifugiata. Il suo ricorso in Tribunale era valido, perché era stato presentato in tempo: la donna infatti non era mai stata ospitata in un centro di accoglienza, e dunque godeva di un termine di 30 giorni stabilito dall’art. 35 del Dlgs 25/08. Inoltre la Corte ha riconosciuto che i documenti da lei presentati provano gli atti di persecuzione personale, soprattutto se messi a confronto con l’attualità: i più recenti rapporti degli organismi internazionali denunciano che in Bangladesh continuano a verificarsi arresti e detenzioni arbitrari ed esecuzioni extragiudiziali, nel quadro di un clima diffuso di violenza e di scontri tra fazioni politiche.
L’Ucraina? Non organizza soltanto gli Europei di calcio… Non è necessario fuggire da un Paese in capo al mondo per presentare domanda d’asilo. O per vedersela respingere. E’ accaduto nel 2011 a un cittadino ucraino nativo della città di Kosiv e militante del partito Fronte per il cambiamento. Chiedendo protezione alla Commissione territoriale di Crotone, ha riferito di aver partecipato alla campagna elettorale per le presidenziali del 2010 e, per questo, di aver subito minacce in strada da parte di alcuni sconosciuti. Anche la moglie, giornalista, ha subito minacce e insieme hanno deciso di lasciare l’Ucraina. La Commissione respinge la domanda dell’uomo il 5 maggio 2011 e lo notifica all’interessato… oltre cinque mesi e mezzo dopo, il 24 ottobre 2011. Le due date sono ricordate in un’ordinanza del Tribunale di Catanzaro, che nell’aprile 2012 ha ribaltato il diniego in Commissione territoriale e concesso al richiedente ucraino lo status di rifugiato: se l’uomo tornasse in Ucraina, infatti, correrebbe il rischio di essere perseguitato per motivi politici. Il giudice monocratico si è fondato sulla coerenza della testimonianza dell’ucraino e su alcuni rapporti di Amnesty International sul regime del presidente Viktor Janukovic.
Persecuzione grave, onere di prova attenuato. Una seconda donna. Chiede asilo alla Commissione di Roma. Riferisce di essere fuggita dalla regione del Delta del Niger (Nigeria) perché, divenuta vedova, il figliastro del coniuge voleva costringerla a sottoporsi a riti pagani in onore del defunto, e poi a sposarlo in seconde nozze; al suo rifiuto l’uomo le aveva tolto i quattro figli, minacciandola di morte. Nel 2009 la Commissione e poi il Tribunale di Roma respingono la domanda di protezione: «Testimonianza confusa». Ma lo scorso marzo ancora la Corte d’Appello della capitale le riconosce definitivamente la protezione sussidiaria anche sulla scorta dei precedenti giuridici. In particolare, riferendosi a una sentenza di Cassazione, i giudici d’Appello sottolineano che l’«onere della prova» che si pretende dal richiedente asilo merita un’attenuazione in funzione dell’intensità della persecuzione, e così «è sufficiente provare anche in via indiziaria la credibilità dei fatti da lui segnalati». Inoltre, secondo la Corte la donna ha offerto una testimonianza coerente con la situazione del proprio Paese: le «pretese incongruenze» che hanno portato ai dinieghi del Tribunale e della Commissione non hanno tenuto conto delle difficoltà di narrazione dei fatti a cui è comunque esposto chi, pur con l’ausilio dell’interprete, è culturalmente distante dal contesto politico e sociale europeo».
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