L’isola dei giusti. Lesbo crocevia dell’umanità – di Daniele Biella – Paoline – 2017 – pp. 158
Sette storie straordinarie di persone ordinarie per ricordare cosa sia la “normalità del bene”.
Daniele Biella, già autore di Nawal. L’angelo dei profughi, ha presentato il suo secondo libro, L’isola dei giusti. Lesbo crocevia dell’umanità, alla trentesima edizione del Salone del Libro di Torino, dedicato quest’anno proprio al tema “Oltre il confine“.
Pochi minuti prima della presentazione di Biella, in un’altra sala del Salone torinese, il giornalista Domenico Quirico lamentava il fallimento del giornalismo contemporaneo nel suscitare commozione, nell’incidere sulla sensibilità collettiva e nel creare quella coscienza di “dover essere uomini“. Un’incapacità di narrare storie ed eventi che porta spesso le persone ad avere “paura di uno che sbarca da una caravella fradicia e non ha niente“, ricorda Quirico. Parlare di confini allora, significa soprattutto parlare di come “i migranti sono i negatori viventi dei confini, li deridono, li immiseriscono” e raccontare di quei luoghi liminali, come Lesbo e Lampedusa, che più di altri hanno vissuto da sempre lo sfumarsi dei confini e il fluido avvicendarsi dell’umanità.
Daniele Biella ha scelto di narrare sette storie straordinarie di persone ordinarie proprio dall’isola di Lesbo, in Grecia dove, tra le primavere del 2015 e del 2016, sono transitate circa 600 mila persone, “una cifra sette volte superiore agli 85 mila abitanti dell’isola“. Lesbo è “crocevia dell’umanità”, non solo dei nostri giorni, ma fin dal 1922 quando, con la fine della guerra tra l’Impero Ottomano e la Grecia, rappresaglie turche costrinsero cittadini di origine greca, abitanti da generazioni sul suolo turco, a fuggire attraverso il mare approdando proprio nella stessa Lesbo in cerca di una nuova vita. Ed è sempre lo stesso “filoxenia” (φιλοξενία), amore per lo straniero e dovere di ospitalità, ciò che, oggi come allora, si concretizza nei gesti di quotidiana solidarietà nei confronti di chi approda sulle coste dell’isola, anche nei momenti più bui.
I protagonisti? Figli di quei rifugiati greci dalla Turchia, come Emilia Kamvisi che dando il biberon ad un bambino siriano appena sbarcato e con la madre stremata, ha incarnato la normalità del Bene, quello spontaneo. O ancora Stratos Valiamos, che con il suo piccolo peschereccio ha salvato “un numero indescrivibile di profughi” issandoli sulla barca con le proprie mani o chiamando il soccorso della Guardia Costiera greca. Eric Kempson, che con i suoi video di denuncia su YouTube ha saputo attirare centinaia di volontari da tutto il mondo nel giro di poche settimane. Melinda McRostie, che ha tenuto aperto 24 ore su 24 il suo ristorante “The Captain’s table” come punto di prima accoglienza. Il frate pescatore di uomini, Christoforos Schuff, prima volontario in strada poi coordinatore dei due campi di prima accoglienza Stage 1 e 2, ma anche addetto all’identificazione delle persone annegate in mare e alla cura spirituale dei parenti. Daphne Troumponis, che nel suo albergo “Votsala“, posto sul percorso di 60 chilometri dalla costa al porto di Mytilini, luogo di partenza per il continente europeo, ha dato assistenza e viveri, coinvolgendo gli stessi turisti da lei alloggiati; arrestata poi per un passaggio illegale in automobile a migranti irregolari, seppur “palesemente in fuga dalla guerra“. E in ultimo Efi Latsoudi, coordinatrice del campo di accoglienza “Pikpa solidarity camp” autogestito da volontari e profughi stessi, nonché organizzatrice dei funerali di chi sull’isola non è mai arrivato o non l’ha mai lasciata. Sette storie straordinarie che ci raccontano “la normalità del bene di chi aiuta, di chi apre le porte“, spontaneamente e senza esitazioni.
Per approfondire:
L’intervista a Daniele Biella dell’Editore Paoline
“Ode to Lesbos”, il fotoracconto di Daniel Etter sul Guardian (ottobre 2016)
“Ode to Lesvos”, il cortometraggio di Johnnie Walker (settembre 2016)
Turchia Paese sicuro? Primo anno dell’accordo con l’UE: dati, fatti, storie
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