Popolazione: 15.300.000 abitanti (fonte UNDP)
Superficie: 1.240.192 km² (fonte UNData)
Aspettativa di vita alla nascita: 55 anni (fonte UNDP)
Rifugiati all’estero: 139.267 alla fine del 2014 (fonte UNHCR, Global Trends 2014)
Richiedenti asilo all’estero: 12.247 alla fine del 2014 (fonte UNHCR, Global Trends 2014)
Sfollati interni: 99.816 alla fine del 2014 (fonte UNHCR, Global Trends 2014)
Rifugiati stranieri nei confini: 15.195 alla fine del 2014, soprattutto mauritani (fonte UNHCR)
Erede di imperi medievali, poi colonia francese e indipendente dal 1960, dopo aver vissuto fra il 1992 e il 2012 un ventennio di promettente democrazia la Repubblica del Mali, Paese della “striscia” del Sahel, è stata messa in ginocchio dalla guerra civile e dal colpo di Stato militare che l’hanno sconvolta fra 2012 e 2013, e da una ripresa degli scontri nella primavera del 2014. Anche per via di queste vicende recenti il Mali resta uno dei Paesi più poveri e instabili a livello globale, fra gli ultimi per indice di sviluppo umano.
La situazione: combattimenti senza fine
Dopo decenni di rivolte, tregue e rivendicazioni una ribellione dei tuareg, alimentata da armi e combattenti giunti dalla Libia, attacca le guarnigioni governative del Nord nel gennaio 2012: è l’inizio di un’escalation senza precedenti. A marzo, nella capitale Bamako un colpo di Stato militare depone il presidente Amadou Toumani Toure, giudicato troppo debole contro i ribelli. Ma ad aprile i tuareg del MNLA (Movimento nazionale di liberazione dell’Azawad), che hanno preso il controllo del Nord del Paese, possono dichiarare unilateralmente l’indipendenza. E tuttavia la situazione si complica: un movimento islamico all’inizio alleato del MNLA inizia ad applicare la sharia a Timbouctou, mentre si affacciano sulla scena anche altri movimenti armati islamisti. Gli islamisti prevalgono sul MNLA e avanzano verso Sud. Nel gennaio 2013 la Francia lancia l’operazione “Serval” in appoggio al regime di transizione che ha fatto seguito al golpe di Bamako: in tre settimane gli islamisti sono scacciati da Gao, Timbouctou e poi Kidal. Se il conflitto è tutt’altro che concluso, Parigi ha riconfermato al mondo i suoi interessi postcoloniali nel Sahel.
Nello stesso 2013 si svolgono le elezioni politiche e presidenziali (ne esce vincitore Ibrahim Boubacar Keita, tuttora al governo) e la Francia cede formalmente la responsabilità per la sicurezza nel Nord al contingente internazionale della MINUSMA (Multidimensional Integrated Stabilization Mission in Mali). Ma nessuno ha ancora il pieno controllo sulla regione. Nel maggio 2014 si dissolve una fragile tregua con il MNLA. A ottobre nove peacekeeper dell’ONU sono uccisi nel Nordest del Paese. L’aprile del 2015 vede nuovi attacchi sferrati dal “Coordinamento dei movimenti dell’Azawad” contro il contingente ONU. A maggio, ancora una volta nel Nord, un raid francese uccide due comandanti di Al Qaeda. A giugno viene sottoscritto un nuovo accordo di pace con i tuareg. Ad agosto, in una città del Mali centrale, nell’ennesimo attacco perdono la vita altri uomini della MINUSMA.
Rifugiati, in Italia per restare
Alla fine del 2014, con una popolazione pari a un quarto di quella italiana, il Mali contava più di 139.000 rifugiati all’estero e quasi 100.000 sfollati interni. Dopo le elezioni del 2013 sono tornati alle loro case migliaia di sfollati e di rifugiati. Ma nel solo maggio 2015, ha denunciato l’UNHCR, sono stati 57.000 gli sfollati prodotti dai nuovi scontri nelle zone di Gao, Mopti e Timbouctou, sempre nel Nord del Paese. Mentre sono centinaia i maliani che fra la primavera e l’inizio dell’estate 2015 hanno cercato rifugio in Mauritania, fuggendo dagli scontri scoppiati soprattutto nella zona di Nampala.
I migranti e rifugiati maliani arrivati in Italia fra gennaio l’inizio di settembre 2015 sono circa 4.200, un numero che ne fa l’ottava nazionalità di provenienza fra tutti gli sbarcati. Ma con 3.350 richiedenti asilo fra gennaio e l’agosto inoltrato, nello stesso periodo costituiscono la quinta nazionalità fra tutti coloro che hanno chiesto protezione nel nostro Paese: dopo aver affrontato viaggi lunghi e rischiosi attraverso il Sahara e il Mediterraneo, la gran parte dei profughi maliani che arrivano in Italia (a differenza di altre nazionalità che preferiscono proseguire verso il Centro e il Nord Europa) decidono di restare. Stando agli ultimi dati consolidati disponibili, quelli relativi al 2014, davanti alle nostre Commissioni territoriali ottiene una forma di protezione (quasi sempre la protezione umanitaria) circa un richiedente asilo maliano su due.
Bibliografia, linkografia, filmografia
www.ecoi.net
Le bon éléve: le Mali et nous di Paolo Quaregna (2006), documentario, 55′
2 commenti
L’informazione dei nostri TG è sempre fortemente deficitaria. Grazie per la chiarezza dell’esposizione.
[…] del Niger. L’esodo di altri 30.000 dalla regione di Timbuktu si è aggiunto al totale dei profughi e dei rifugiati interni dall’inizio del […]