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Operatori e rifugiati: la relazione e le sue “trappole”

I risultati della ricerca-azione collegata al Laboratorio multidisciplinare 2013-2014 sul diritto d’asilo dell’Università di Torino e del coordinamento Non solo asilo. Alla base dell’indagine, le testimonianze di 18 operatori e 19 interviste in profondità a rifugiati e richiedenti asilo.

Fino a quando la relazione di empatia funziona? Ed è auspicabile, per il richiedente asilo/rifugiato, l’affiancamento di un solo operatore in tutte le fasi d’accompagnamento, oppure sarebbe consigliabile la presenza di operatori diversi nei vari momenti? La ricerca-azione Le trappole della relazione: assistenza, controllo e autonomia nel rapporto tra operatori e i rifugiati, collegata al Laboratorio multidisciplinare 2013-2014 sul diritto d’asilo  dell’Università di Torino, lascia aperti questi due interrogativi in sede di conclusioni. Ma offre alcune piste, alcune tracce per affrontarli.

Alla base della ricerca, le testimonianze di 18 operatori e 19 interviste in profondità a rifugiati e richiedenti asilo, tutte raccolte e realizzate in Piemonte fra il 2013 e il 2014.

I risultati

«Diverse sono state le affinità che abbiamo riscontrato tra le testimonianze offerteci prima dagli operatori e poi dai rifugiati», sintetizzano i ricercatori:

  • narrazioni condivise dei progetti dello SPRAR e dei CARA: «Lo SPRAR più funzionale e dotato di un percorso individualizzato a seconda delle caratteristiche dei soggetti coinvolti, mentre riguardo ai CARA nessuno risparmia giudizi estremamente negativi»;
  • da entrambi i lati della relazione presa in esame (operatori e rifugiati) è emerso come, a volte, i percorsi proposti ai richiedenti asilo risultino troppo rigidi. «Spesso sembra che, inconsciamente, gli operatori assumano un atteggiamento “paternalista” , volto ad insegnare al rifugiato “il modo migliore di vivere in Italia”, specie nella prima fase di accompagnamento»;
  • sembra che gli operatori incontrati abbiano una discreta consapevolezza delle buone intenzioni e delle difficoltà e ambiguità insite nel loro ruolo. «A volte è sembrato che patissero di non avere ampi margini di scelta e in qualche modo di trovarsi anche loro, come i rifugiati, costretti dal “sistema” in una sorta di “gabbia” che imprigiona la relazione»;
  • sembra che sia soprattutto nella fase di accompagnamento al colloquio con la Commissione territoriale e durante l’attesa dell’esito che l’avvicinamento emotivo rischia di compromettere la relazione. Se poi l’esito è un diniego, «gli operatori vengono fortemente colpevolizzati dai richiedenti come responsabili dell’accaduto». Nel caso di esito positivo, invece, «la “schizofrenia” dell’attesa e dell’iter burocratico può comunque compromettere irrimediabilmente la relazione e l’efficace affiancamento in progetti successivi».

 

Il progetto di ricerca Le trappole della relazione è frutto della collaborazione fra tre studenti di Antropologia culturale ed etnologia e Culture moderne comparate, e due antropologhe culturali, una con un’esperienza più accademica e l’altra con un’esperienza nel campo internazionale e sociale.

Il Laboratorio muldisciplinare sul diritto d’asilo (del quale in questi mesi è in corso la decima edizione per l’anno accademico 2014-2015) è promosso dal coordinamento Non solo asilo, che raccoglie 16 diversi enti attivi in Piemonte, ed è realizzato in collaborazione con il Corso di laurea magistrale in Antropologia culturale ed Etnologia presso il Dipartimento di Culture, politica, società dell’Università di Torino.

Collegamenti

La ricerca integrale (file .pdf)

Le slide di presentazione (file .pdf)

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