L’articolo 5 del “Piano casa” appena diventato legge dello Stato impedisce di chiedere la residenza anagrafica a chiunque occupi «abusivamente» un edificio. Ma confonde il “diritto soggettivo” alla residenza anagrafica con la “legittimazione” di un comportamento illegale, aprendo la strada a ricorsi alla Corte Costituzionale e alle Corti europee. Intanto, sono migliaia i soli rifugiati e richiedenti asilo che vivono in case occupate.
Incredulità, inquietudine: è quanto sta diffondendo anche tra i rifugiati e le associazioni impegnate nel settore l’articolo 5 del “Piano casa” in vigore dalla fine di maggio (legge di conversione 80/2014): «Chiunque occupa abusivamente un immobile senza titolo non può chiedere la residenza né l’allacciamento a pubblici servizi in relazione all’immobile medesimo, e gli atti emessi in violazione di tale divieto sono nulli a tutti gli effetti di legge».
L’iter di conversione in legge del decreto originario (il “Renzi-Lupi”, n. 47 del 28 marzo 2014) ha aggiunto inoltre, sempre all’art. 5, questa misura afflittiva: «I soggetti che occupano abusivamente alloggi di edilizia residenziale pubblica non possono partecipare alle procedure di assegnazione di alloggi della medesima natura per i cinque anni successivi alla data di accertamento dell’occupazione abusiva».
Migliaia i rifugiati e richiedenti asilo negli stabili occupati
A Roma in queste settimane sono state sospese, tra l’altro, le registrazioni anagrafiche dei rifugiati che vivono al “Palazzo Selam”, uno degli edifici occupati nella capitale, in difficili condizioni socio-sanitarie (ormai circa 1.200 persone tra rifugiati in senso stretto o con status di protezione sussidiaria o umanitaria).
A Firenze vari stabili occupati danno un tetto precario a 250 rifugiati. Fra 170 di loro, assistiti negli ultimi mesi da un’unità mobile di Medici per i diritti umani (Medu), circa il 50% non risulta iscritto al Servizio sanitario regionale e il 74% risulta privo di residenza, mentre solo il 18% è in possesso di iscrizione anagrafica al Comune di Firenze grazie al sostegno di parenti o amici.
A Torino sono circa 200 i rifugiati senza “tetto stabile” che, fino ad oggi, si sono registrati per la residenza anagrafica a norma della “delibera di Natale” del dicembre 2013. In questi mesi già non è stato facile registrarsi nelle sedi periferiche dell’Anagrafe: se il meccanismo funziona alla sede centrale, in periferia a volte occorre presentarsi con un volontario italiano, testo della delibera in mano. E adesso il Comitato di solidarietà rifugiati e migranti di Torino, ma non solo, è preoccupato per l’articolo 5 del “Piano casa”. Già si sapeva che era intenzione del Comune limitare la portata di questa residenza “alla torinese”: la registrazione darà il via libera solo alla carta di identità e all’assistenza sanitaria, non ad altri sevizi sociali. Ma ora ci si chiede se varrà, dopo tre anni di residenza, per accedere alla case popolari. Si possono stimare a circa 600 i rifugiati che ad oggi vivono in case occupate a Torino.
In tutta Italia, stimano l’Unhcr e Medu, «considerata la cronica carenza di posti di accoglienza per i migranti forzati nel nostro Paese», sono migliaia i richiedenti asilo e titolari di protezione internazionale che si trovano ad abitare precariamente in stabili occupati.
«Subiscono una condizione di marginalità ed esclusione causata spesso dalla crisi economica, aggravata in molti casi da un mancato accesso ai diritti socio-sanitari pur formalmente garantiti», sottolinea Medu, che in sintonia con quanto denunciato di recente dall’Unhcr chiede «che venga garantita la possibilità di iscrizione anagrafica» almeno «per tutte le persone vulnerabili che si trovano a dover vivere negli edifici occupati, e l’individuazione di adeguate soluzioni di accoglienza e integrazione per i numerosi rifugiati costretti nel nostro Paese a vivere in condizioni di grave precarietà abitativa».
L’articolo 5? Illegittimo oltre che ingiusto
«Sembrerebbe una norma che tende a contrastare il fenomeno delle occupazioni abusive, scritta però da persone che non hanno idea della drammatica realtà in cui molte persone vivono», stranieri e italiani che siano, scriveva sulla rivista Left già ad aprile Antonio Mumolo, presidente dell’Associazione Avvocato di strada con sede nazionale a Bologna.
Ma c’è di più: nell’articolo 5 «si confonde il diritto soggettivo alla residenza, ovvero ad essere iscritti nelle liste anagrafiche tenute dai Comuni, con la “legittimazione” di un comportamento illegale. In realtà non è così. Gli occupanti senza titolo di beni immobili pubblici o privati possono essere sfrattati o sgomberati indipendentemente dal fatto che siano residenti o meno. La residenza invece non può essere negata a nessuno perché da questa discendono molti diritti fondamentali garantiti dalla nostra Costituzione».
Senza residenza, ricorda Mumolo, non si può votare, non ci si può curare, non si può ricevere una pensione o usufruire del welfare locale, non si può lavorare, non si ha diritto al gratuito patrocinio e quindi alla difesa… Insomma, «togliere la residenza a persone che occupano uno stabile, o impedire loro di prenderla, significa mettere per decreto quelle persone fuori dalla società, renderle invisibili, cancellare di colpo le residue possibilità che avrebbero per poter uscire dalle proprie difficoltà. È singolare che un “piano casa”, che dovrebbe aiutare le famiglie italiane ad affrontare la crisi, possa avere questi effetti».
Ma l’articolo 5 della legge 80/2014 contiene «un altro incredibile paradosso»: «La legge italiana stabilisce che la residenza anagrafica deve essere riconosciuta a tutte le persone che vivono in un dato luogo. Si tratta anche di un tema di ordine pubblico. Lo Stato deve sapere quante persone vivono in una città, come si chiamano, come sono formati i loro nuclei familiari. I sindaci sono tenuti a far rispettare il diritto alla residenza e possono essere sanzionati se vengono meno a questo dovere. Ma come si comporteranno con le famiglie occupanti? Come verrà risolto questo contrasto normativo?».
E se proprio l’obiettivo della norma è dare un segnale contro le occupazioni abusive, conclude il presidente di Avvocato di strada, «si potrebbe almeno stabilire che la residenza a queste persone sarà comunque concessa nella via fittizia di cui ogni Comune deve dotarsi, proprio per garantire questo diritto anche alle persone senza dimora».
E adesso? Gli spazi d’azione
Ha puntualizzato invece Walter De Cesaris, segretario nazionale dell’Unione inquilini: «Il testo, così come è scritto, è generale e non fa alcuna distinzione tra occupazioni per necessità, occupazioni per la riappropriazione e l’uso sociale di immobili vuoti o in disuso, occupazioni oppure le occupazioni gestite e organizzate dalla criminalità, specialmente in alcune aree del Paese, che sono il vero fenomeno da combattere».
Ma quali possono essere concretamente, a questo punto, gli strumenti per contrastare l’articolo 5? «Partiamo dalla possibilità di ricorsi alla Corte Costituzionale e fino in Europa in quanto il diritto alla residenza, in particolare, è diritto della persona…». Inoltre, «nel corso del dibattito parlamentare è stato approvato un ordine del giorno che fornisce l’interpretazione autentica del testo: l’articolo può trovare applicazione solo nel caso di condanna penale definitiva ed è escluso che possa riguardare chi è colpito da provvedimento di sfratto. Quindi si apre, anche nel concreto delle situazioni specifiche, uno spazio per impugnare eventuali provvedimenti emessi in difformità».
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Collegamento
Il “Piano casa” (testo coordinato Dl n. 47 del 28 marzo 2014 e legge 80/2014)
1 commento
[…] la legge in maniera discrezionale, funzionale alla situazione. Alcuni esempi. Quando serve il piano casa di Renzi viene attivato e a Roma centinaia di rifugiati che occupano Palazzo Selam, pe…. A Torino questo non succede poiché da anni si lotta per il diritto alla residenza, un diritto che […]