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“Qualcuno sa. E quei morti avranno giustizia”

Intervista con Tineke Strik, la senatrice olandese che nelle scorse settimane, per conto dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, si è rivolta al Parlamento europeo chiedendogli di usare i propri poteri per accertare le responsabilità sulla morte di 63 profughi e migranti abbandonati a se stessi nelle acque a Nord della Libia nel 2011.

Tineke Strik, senatrice olandese e membro dell'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa.

62 morti su un gommone abbandonato a se stesso nelle acque a Nord della Libia, fra marzo e aprile 2011. In quel quadrante di Mediterraneo affollato di migranti e di profughi ma anche di mezzi militari della Nato impegnati ad abbattere il regime di Muhammar Gheddafi, non è servito a nulla un tempestivo Sos. Come non è servito a nulla che il battello fosse stato avvistato e brevemente avvicinato da un elicottero e da una nave militare ancora oggi non identificati. Si sono salvati in nove. L’ultima vittima è deceduta dopo che il gommone ha raggiunto nuovamente il litorale libico, cosicché il totale dei morti è 63. Tineke Strik, membro dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa e rapporteur sulla vicenda, nelle scorse settimane si è rivolta al Parlamento europeo chiedendogli, in sostanza, di usare i propri poteri per rompere il muro di omertà istituzionale che impedisce di accertare le responsabilità di questa tragedia. Vie di fuga ha contattato Tineke Strik nel suo Paese, l’Olanda, dove è senatrice.

Senatrice Strik, dopo la risoluzione 1872(2012) “Vite perdute nel Mediterraneo: chi è responsabile?” dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa avete registrato qualche reazione istituzionale da parte dell’Italia, della Spagna e della Nato, le tre entità che chiamate direttamente in causa?

«Dopo l’approvazione della risoluzione, ad aprile, ho ricevuto una nuova lettera dal ministro della Difesa italiano nella quale mi si informa che la “Borsini”, un vostro vascello che non si trovava lontano dal gommone, non ha ricevuto alcun appello per imbarcazioni in difficoltà e che il suo elicottero il 27 marzo 2011 non si è alzato in volo. Questo però è in contraddizione con l’affermazione Nato secondo cui l’Alleanza trasmise l’appello a tutte le navi che si trovavano nell’area…».

A proposito, la Nato come ha reagito alla risoluzione? E la Spagna? 

«Nessuna delle due ha reagito in via ufficiale. Durante il dibattito, a Strasburgo, la delegazione spagnola se ne è uscita con nuove informazioni, affermando che la “Méndez Núñez” non era equipaggiata per ricevere l’allarme e che la Nato diffuse il messaggio con tale ritardo che i dati sulla posizione del gommone erano ormai inutili per rintracciarlo. Ho chiesto alla Nato e al ministro della Difesa spagnolo un riscontro ufficiale su queste affermazioni, ma le mie lettere aspettano ancora una risposta».

E siamo alla fine di giugno. Ma torniamo a un mese fa: a fine maggio, lei ha fatto il punto della situazione alla commissione Libertà civili del Parlamento europeo, chiedendo aiuto. Cosa può fare, realisticamente, l’Europarlamento?

«Ha poteri istituzionali, dovrebbe usarli. Sono stata informata che varie agenzie dell’Ue fra cui il Joint Research Centre e l’Agenzia per il controllo della pesca potrebbero avere dei dati tecnici, ad esempio immagini satellitari utili a identificare le unità che navigavano in quelle acque. Ho chiesto agli eurodeputati di acquisirli. Ho anche chiesto loro di realizzare il punto della nostra risoluzione del Consiglio d’Europa che chiede un nuovo Protocollo dell’Ue sul Mediterraneo: qui l’obiettivo è coprire questioni come il salvataggio in mare, il rimpatrio e il reinsediamento di migranti e rifugiati. Last but not least, in particolare ai parlamentari d’Inghilterra, Francia e Spagna ho chiesto di fare pressione sui loro ministri della Difesa perché mettano a disposizione ulteriori informazioni sull’accaduto».

Riassumendo, quali sono i principali tasselli che oggi mancano alla verità? Ese venissero ricomposti, crede che si potrebbe avviare un’azione legale vera e propria a favore dei sopravvissuti, magari arrivando a qualcosa di simile alla storica sentenza “Hirsi Jamaa et al. versus Italy” della Corte europea dei diritti dell’uomo?

«Non siamo ancora riusciti a identificare l’elicottero militare che lanciò acqua e biscotti al battello in difficoltà, ma poi non ritornò più. Come non siamo riusciti a identificare la grande nave militare che si accostò molto vicino al battello all’incirca il decimo giorno del suo viaggio di morte. Ma qualcuno sa, e un giorno la dinamica dei fatti verrà a galla. Un’azione legale è già stata intrapresa in Francia, ad esempio. Però si dovrebbe fare di più. Prima della Corte europea dovrà fare il suo corso la giustizia ordinaria. Ma ne sono sicura, il giorno in cui verremo a conoscere gli elementi mancanti i tribunali dei Paesi interessati faranno il loro dovere».

Abu Kurke Kebato, 23 anni, etiope, uno dei nove scampati alla deriva del gommone.

Il rapporto che lei ha presentato al Consiglio d’Europa per la risoluzione “Chi è responsabile?” allega le missive di alcune risposte ufficiali inviate “al relatore” dell’indagine, cioè a lei. Sono state soddisfacenti? In particolare, lo è quella del nostro attuale ministro della Difesa, l’ammiraglio Giampaolo Di Paola?

«Il tenore delle risposte che ho ricevuto è uniforme. Alcune sono state francamente deludenti, per tacere di quelle che… non rispondevano affatto. Ma quando queste risposte non erano soddisfacenti non mi sono arresa: ho chiesto ulteriori dettagli mano a mano che raccoglievamo nuovi elementi. Le risposte del vostro ministro della Difesa? Non sono molto dettagliate, ma almeno lui ha risposto. Comunque devo sottolineare l’eccellente collaborazione che mi hanno offerto le autorità italiane incaricate delle operazioni di ricerca e salvataggio (mi riferisco al Centro nazionale di coordinamento del soccorso marittimo di Roma): le informazioni che ci hanno messo a disposizione sono state accurate, dettagliate e trasparenti e mi hanno consentito di fare progressi».

Ha conosciuto i pochi migranti scampati alla tragedia?

«Certo che sì, ne ho incontrati vari di persona e con loro ho avuto lunghe interviste. Senza la loro disponibilità a raccontare la loro storia la mia indagine non avrebbe avuto senso. Un post scriptum nel mio rapporto riferisce dove si trovano i sopravvissuti. A tutt’oggi sono ancora in contatto con alcuni di essi, e in particolare con Abu Kurke, che adesso vive in Olanda».

Leggi anche su Vie di fuga

Per i 63 morti del gommone abbandonato il Consiglio d’Europa accusa la Nato e l’Italia. Le certezze, i misteri, la vergogna

Collegamenti

La risoluzione 1872(2012) dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa (versione provvisoria, in inglese)

Il “rapporto Strik” (versione definitiva, in inglese)

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