A Torino i rifugiati dell’occupazione dell’ex Villaggio olimpico chiedono alla Città di riconoscere il loro diritto alla casa. E alla residenza, già argomento di una petizione al Comune promossa dal coordinamento Non solo asilo.
«Domani una delegazione di rifugiati incontrerà in via Giulio, alle 14.00, l’assessore con delega all’Anagrafe Stefano Gallo. Ci saremo anche noi del coordinamento Non solo asilo. Non so ancora se saliremo anche noi dall’assessore, o se i rifugiati preferiranno che quel momento sia solo loro. Ma il presenzialismo non ci interessa: quello che conta è che saremo comunque in via Giulio, per testimoniare che appoggiamo la loro richiesta come cittadini».
Joli Ghibaudi, segretaria del coordinamento Non solo asilo, riferisce a Vie di fuga gli ultimi sviluppi della vicenda che, dal 2012, vede alla ribalta il diritto alla residenza anagrafica dei rifugiati e, più in generale, dei beneficiari di protezione internazionale senza un domicilio stabile.
A Torino, così come in numerosi comuni del Piemonte, la concessione della residenza a questa categoria di ospiti del nostro Paese risulta particolarmente difficoltosa, nonostante sia prevista dalla legge 1228 del 1954.
Alla fine del 2011 il coordinamento Non solo asilo, una rete di realtà torinesi e piemontesi che dal 2008 lavora con i rifugiati, ha promosso una petizione in cui si chiedeva al Comune di Torino «di modificare la regolamentazione vigente nella nostra città in tema di rilascio della Residenza, in modo da eliminare tutti gli impedimenti che oggi consentono alla Città di negare ai rifugiati politici e titolari di protezione internazionale la concessione di questo fondamentale diritto».
Nel testo della petizione si ricordava che il capoluogo subalpino già concede alle persone senza dimora «una residenza fittizia che permette loro di superare notevoli ostacoli burocratici che altrimenti impedirebbero la fruizione di quei servizi che sulla carta sono garantiti. La concessione della Residenza nella nostra città, anche nel caso di impossibilità di indicare un domicilio fisso, rappresenta quindi un segno tangibile di civiltà, accoglienza e volontà di facilitare l’autonomia delle persone».
L’iniziativa di Non solo asilo, ormai conclusa, ha raccolto oltre 830 firme e nel 2012 è stata presentata ufficialmente alla Città amministrata dalla giunta del sindaco Piero Fassino.
Poi nei giorni scorsi, il 19 aprile, un gruppo di rifugiati provenienti dall’occupazione dell’ex villaggio olimpico di via Giordano Bruno, ha occupato simbolicamente la sede dell’Anagrafe centrale torinese in nome del diritto alla casa e alla residenza, ottenendo almeno udienza dalla Città.
«L’impegno per il rilascio della residenza per noi è importante perché è la chiave dei diritti di cittadinanza – commenta ancora Joli Ghibaudi. – Senza questo riconoscimento tutt’altro che formale le persone non possono accedere ai servizi, non possono aprire un conto in banca o una partita Iva, non possono prendere la patente, non possono iscriversi all’università o essere assunte in un posto di lavoro con le carte in regola».
Ad oggi protocolli regionali e provinciali su sanità, centri per l’impiego e agenzie interinali consentono di superare alcune difficoltà, ma devono essere considerati per quello che sono: “gentili” concessioni provvisorie, non il riconoscimento di un diritto.
E intanto «loro, i rifugiati (con tanti di noi operatori) continuano a spendere impegno, fatica, risorse economiche e personali per trovarsi, alla fine, sempre più ai margini, se non condannati all’illegalità». Dopo che hanno già sperimentato che cosa significa diritto d’asilo in Italia: un pezzo di carta che garantisce lo status di “rifugiato” o di “protezione sussidiaria” o “umanitaria”, e la lotteria di un sistema di accoglienza pieno di falle.
Allegato
Il testo della petizione torinese 2011-2012 per la residenza (file .doc)
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