Dopo tre anni, una sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo ha stabilito che l’Italia, con i respingimenti in Libia di migranti e potenziali richiedenti asilo attuati nel maggio 2009, ha violato vari articoli della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
I respingimenti in Libia di migranti (e potenziali richiedenti asilo) senza esaminare la loro situazione li espongono al rischio di maltrattamenti e costituiscono un’illecita espulsione collettiva. E’ quanto ha stabilito oggi un’attesa sentenza definitiva della Corte europea dei diritti dell’uomo. Il caso è quello, molto noto, “Hirsi Jamaa and others v. Italy” (n. no. 27765/09) relativo alle vicende della primavera 2009.
I ricorrenti nella causa, che ha visto la condanna del nostro Paese a poco meno di tre anni dai fatti, sono 11 cittadini somali e 13 eritrei che facevano parte di un gruppo di 200 persone imbarcatesi in Libia. Il 6 maggio 2009, a 35 miglia a Sud di Lampedusa, furono intercettate da motovedette della Guardia di Finanza e della Guardia costiera italiane. Furono trasferite su questi battelli e fatti sbarcare a Tripoli dopo altre 10 ore di viaggio. Nel tragitto, hanno riferito i migranti, le autorità italiane a bordo non comunicarono questa destinazione né verificarono la loro identità. A Tripoli furono tutti consegnati alle autorità libiche. Il giorno dopo il ministro degli Interni italiano Maroni affermò che il respingimento in Libia era avvenuto secondo gli accordi bilaterali con la Libia entrati in vigore il 4 febbraio precedente.
In particolare, la Corte ha accertato che l’Italia ha violato vari articoli della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e di un suo protocollo aggiuntivo, riguardanti in particolare il divieto di trattamenti inumani o degradanti (art. 3 Convenzione, per il rischio di maltrattamenti in Libia e nei Paesi d’origine da cui i migranti e i richiedenti asilo erano partiti), il divieto di espulsioni collettive (art. 4 Protocollo 4) e il diritto a concrete possibilità di ricorso (art. 13 Convenzione).
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