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Rifugiati e il diritto allo studio/1. L’Università di Pavia

Foto da http://news.unipv.it/
Foto da http://news.unipv.it/

di Marco Calabrese

Da gennaio 15 rifugiati, scelti tra più di cinquanta candidature, hanno l’opportunità di frequentare corsi di primo e secondo livello presso l’Università di Pavia. Ne abbiamo parlato con Anna Rita Calabrò, professore associato di Sociologia e responsabile del progetto rifugiati.

È un segnale forte, di accoglienza e fratellanza, quello che ha voluto mandare l’Università di Pavia accogliendo tra i suoi studenti 15 ragazzi rifugiati a cui garantisce «l’opportunità di frequentare un corso di studi di primo o secondo livello, con esonero totale di tutta la contribuzione universitaria per la durata legale del percorso e il soggiorno gratuito, per lo stesso periodo, presso i Collegi EDISU e Collegi di merito» della città lombarda.

«L’idea è nata a settembre» spiega la professoressa Calabrò «in seguito ad una riflessione sull’aggravarsi della crisi umanitaria che vede coinvolte queste persone. Così, dopo l’approvazione dell’università ci siamo messi in contatto con lo SPRAR nazionale, il quale a sua volta ha richiesto a tutti i suoi enti sparsi sul territorio una prima segnalazione dei candidati più adatti: i primi criteri di selezione sono stati il fatto che questi ragazzi avessero già ottenuto uno status giuridico – dai rifugiati ai titolari di protezione sussidiaria o internazionale – e che fossero intenzionati a rimanere in Italia». Superati i tempi burocratici, quindi, un comitato dell’università ha esaminato una cinquantina di candidature, in base ad altri criteri pre-stabiliti: studi pregressi (diploma di scuola superiore o laurea), conoscenza delle lingue (italiana e inglese) e soprattutto motivazioni.

«A gennaio il progetto era pronto per cominciare: l’ateneo offre l’iscrizione gratuita a tutti, i Collegi di merito (cinque posti), l’EDISU (cinque), l’Università di Pavia (tre), l’editoriale Domus (uno) e il Museo Egizio di Torino (uno), invece, contribuiscono a coprire le spese riguardanti il vitto e l’alloggio dei ragazzi. I libri vengono forniti dalle strutture universitarie e stiamo lavorando per attivare dei lavori part-time all’interno dell’ateneo, affinché possano raggiungere un’autonomia finanziaria che non intralci il loro percorso di studi». Il tutto, però, sempre equiparandoli agli altri studenti: infatti, «non sono previste grandi agevolazioni. Teniamo conto, però, della loro situazione pregressa e del fatto che abbiano iniziato l’anno accademico con un semestre di ritardo: l’unica facilitazione è che hanno un anno in più rispetto agli altri per completare il loro percorso di studi».

È quindi possibile che questi ragazzi, provenienti da Afghanistan, Togo, Iran, Gambia, Camerun, Libano, Ucraina, Turchia e Nigeria perdano la borsa di studio, qualora non raggiungano il numero di crediti necessari, sempre tenendo conto dell’anno aggiuntivo, anche se «c’è un impegno da parte di tutti, professori e studenti, per far si che possano continuare ad usufruire delle agevolazioni». Un percorso non privo di difficoltà, quindi: tra tutte quella delle conoscenze linguistiche, anche se si tratta di «ragazzi che hanno già compiuto l’intero percorso del riconoscimento dello status e hanno alle spalle alcuni mesi di permanenza in Italia, molti di loro erano già bilingui, quindi l’ apprendimento dell’italiano è stato relativamente semplice. Tra i servizi offerti dall’università, ovviamente, ci sono anche dei corsi di italiano, oltre al sistema di tutor attivo per tutti gli studenti».

Dunque, un percorso di integrazione ed apprendimento: il primo ha già avuto risultati per quel che riguarda i legami extra-universitari creatisi tra studenti e rifugiati. Il secondo sembra essere decisamente ben avviato: «mi colpiscono la determinazione, ma anche la serenità e l’allegria con cui stanno affrontando quest’avventura», commenta la professoressa, «la leggerezza tipica della loro età e l’impegno che ci mettono. Il progetto funziona e nutriamo la speranza che l’esempio di Pavia possa essere seguito. Non basta offrire l’iscrizione, ma bisogna essere consapevoli che non hanno risorse e che occorre aiutarli a tutti i livelli».

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