Fra le esperienze didattiche sul mondo dei migranti e dei rifugiati una delle più interessanti è Rotte migranti. Un viaggio diverso dagli altri. Mostra interattiva, spazio laboratoriale in cui ci si cala nei panni dell’altro e che ha coinvolto moltissime persone, soprattutto studenti in Sicilia e non solo.
Per conoscere meglio questo progetto abbiamo intervistato lo staff del CISS, la ong siciliana che da 33 anni è attiva in Italia e nel mondo nella difesa e promozione dei diritti umani e che ha creato Rotte migranti.
Cominciamo dall’inizio: come è nato il progetto Rotte migranti?
Rotte Migranti nasce come azione all’interno di un progetto del CISS dal titolo “COME.IN COMMUNITY: approcci INterattivi e Creativi per la scoperta di altre culture” cofinanziato dal programma europeo Creative Europe e realizzato in collaborazione con alcune associazioni Italiane, Arci Porco Rosso, Arci Tavola Tonda, Associazione Maghweb, di Malta, Grecia e Romania. COME.IN è un progetto culturale che vuole sperimentare degli strumenti e pratiche innovative attraverso cui promuovere l’integrazione dei rifugiati in Europa, promuovere il senso di cittadinanza, la comprensione e la ricchezza della diversità. Tra questi strumenti abbiamo scelto, appunto, quest’esperienza interattiva per conoscere, al di là di quello che dai mass media viene raccontato, quali siano le esperienze di viaggio e di vita delle persone oggi inserite in un processo migratorio, difficile e rischioso: la traversata in gommone, lo sfruttamento fino alle procedure di identificazione della questura italiana e alle pratiche di accoglienza, sono alcune delle fasi della simulazione interattiva proposta a Palermo assieme. Partendo da laboratori, da storie di vita di persone realmente incontrate e in collaborazione per l’ideazione e la realizzazione con un’altra ONG, il CIES ONLUS (Centro Informazione e Educazione allo Sviluppo) di Roma, che ha una grande esperienza nell’uso di questo tipo di strumenti e con cui il CISS collabora da tempo, abbiamo allestito Rotte migranti e l’abbiamo messa a disposizione in particolare dei giovani studenti delle scuole del territorio, all’interno dello spazio di Lisca Bianca-Scalo 5B.
Quale è la finalità che vi siete prefissi?
La finalità di Rotte Migranti è di far comprendere la realtà al di là di ogni rappresentazione e di riportare al centro le persone, con le loro storie e i loro vissuti spesso tremendi: la simulazione del viaggio su di un barcone malmesso, l’incontro con i criminali del lavoro nero e del caporalato, il reclutamento da parte di una maman e lo sfruttamento sessuale, quindi l’introduzione forzata nel vortice della tratta. E ancora: l’identificazione in questura, le mille domande sul viaggio, sui motivi della partenza, sulla famiglia e sul paese di origine, la compilazione di un modulo per chiedere lo status di rifugiato e poter rimanere in Italia.
Tutto ciò è fondamentale per sapere cogliere i nessi causali di quanto sta avvenendo, per pensare in modo critico e agire in modo responsabile, per tornare a mettere al centro le persone, depositarie di diritti e doveri universali, per entrare in una positiva relazione di reciprocità con gli altri, per comprendere cosa sia un viaggio migratorio, cosa comporti, quali scelte e cause ne siano alla base e quali storie portano con sé le persone che lo vivono o lo subiscono abbiamo pensato a realizzare un percorso che unisce azioni di formazione, sensibilizzazione e dimensione esperienziale.
Alla base del progetto c’è il calarsi nei panni dell’altro attraverso un’interazione totale: il gioco di ruolo. Io sono te, io sono tutti i migranti forzati, io sono l’altro di cui si ha tanta paura. Quali sono le reazioni delle persone coinvolte? Avete raccolto dei feedback?
Intraprendere il percorso “Rotte Migranti” vuol dire in effetti provare ad immedesimarsi nelle persone, mettersi nei panni, attraverso il gioco di ruolo, di donne uomini minori che affrontano un percorso migratorio, provare a pensare e ad agire come loro, lungo un viaggio che parte dalle coste libiche e arriva in Italia. La simulazione prevede che il partecipante attraversi diversi scenari: il viaggio in mare sul barcone, l’arrivo in Italia e le pratiche di identificazione in questura, lo sfruttamento lavorativo, il reclutamento nel circuito della tratta a scopo di sfruttamento sessuale, l’accoglienza in centri fino all’esito del proprio percorso. In ogni scenario i partecipanti interagiscono con degli animatori che interpretano, a loro volta, il ruolo di trafficante, di sfruttatore/caporale, di maman, di polizia o di ufficiali della questura. La prima condizione che deve realizzarsi affinché funzioni il gioco di ruolo è che le persone che partecipano dimentichino la propria identità, l’età, la provenienza e provino ad assumere l’altra identità. Lo strumento psico-pedagogico utilizzato gioca soprattutto sul meccanismo dell’empatia, al fine di veicolare informazioni e far conoscere più da vicino il fenomeno delle migrazioni. L’impatto con questo tipo di strumento educativo è piuttosto forte: è capitato che qualcuno chiedesse di uscire dal percorso prima che fosse terminato, o di trovarsi davanti, alla fine del percorso, dei volti particolarmente turbati da quanto subito durante l’esperienza e dal sentirsi trattati come non-persone.
Cosa chiedete ai partecipanti?
Al termine del percorso interattivo i partecipanti vengono invitati a condividere un momento di riflessione sull’esperienza vissuta. Chiediamo loro di raccontare le storie dei personaggi che hanno interpretato, il modo in cui si sono sentiti, le emozioni che hanno provato nell’interpretare il ruolo dell’altro. Ne viene fuori molto spesso una riflessione sul perché le persone migranti debbano subire tali abusi, su cosa si potrebbe fare per evitare che tutto ciò avvenga, sulla frustrazione che deriva dall’essere privati della possibilità di scegliere, della propria libertà. Nel caso delle partecipanti che interpretavano le vittime di tratta, ad esempio, abbiamo raccolto un dato particolarmente rilevante: come nella realtà, erano in pochissime a denunciare la maman e gli sfruttatori alla polizia, anche quando veniva loro garantita una protezione – art. 18 T.U. Immigrazione d.l. 286/98 – qualora decidessero di denunciare. Molti dei partecipanti hanno notato la forza di questo strumento impiegato per fini educativi, tanto da riconoscere che nessuna conferenza, nessun dibattito su queste tematiche, nessuna foto o video-testimonianza aveva suscitato in loro delle emozioni così intense come nel meccanismo di immedesimazione in cui si erano imbattuti durante “Rotte Migranti”.
Sul web emerge che già nel 2014 proponevate il progetto a scuole e al grande pubblico, se siete arrivati al 2019 significa che avete avuto un riscontro positivo?
Chi partecipa all’esperienza “Rotte Migranti” si accorge dell’alto valore pedagogico di questo strumento. Abbiamo proposto questo strumento la prima volta nel 2011, poi è stato aggiornato, sono state aggiunte nuove nazionalità e profili per adattarlo alla realtà che stiamo vivendo. Dalla prima volta più di 2500 ragazzi hanno partecipato all’esperienza, e circa 700 persone, per la maggior parte studenti di istituti comprensivi e scuole superiori, in quest’ultima edizione del 2019. Bisogna dire che negli ultimi anni sono cambiate molte cose nelle modalità di partenza e arrivo dei migranti, nella gestione degli arrivi in Italia, nei paesi d’origine e nelle varie articolazioni della prima e della seconda accoglienza nel paese di destinazione. Il fenomeno delle migrazioni è in mutamento, ma le persone continuano a spostarsi. La rappresentazione del fenomeno veicolata dai media di massa, la narrazione sul numero di sbarchi, sul numero di stranieri presenti in Italia, il linguaggio stesso utilizzato per parlare delle persone migranti (solo per fare degli esempi, termini come: clandestini, illegali, disperati, invasori) non corrisponde quasi mai alla realtà e veicola una visione delle cose che sta portando a fenomeni di discriminazione a volte anche violenta. Da questa narrazione deriva, infatti, una progressiva assuefazione alle morti in mare, e una crescente insofferenza nei confronti di chi arriva in Italia, con conseguenti episodi – in continuo aumento e sempre più violenti – di razzismo e discriminazione nelle comunità di accoglienza.
Se, dopo tutti questi anni, continuiamo ad avere da parte del pubblico numerosi riscontri positivi che ci indicano la riuscita dell’intento pedagogico di questo progetto, vuol dire che si continua ad avvertire la necessità di addentrarsi nelle storie e nelle vite delle persone migranti, di conoscerle da vicino, di provare a comprendere – all’interno di quella che è “solo” una simulazione – cosa si nasconde dietro alle notizie che riportano spesso solo numeri e percentuali. Ed è per noi importantissimo che siano tante le scuole e i docenti che riconoscendo il valore partecipano entusiasti all’esperienza, anzi ci scusiamo perchè le richieste sono state tantissime e non abbiamo potuto soddisfarle tutte.
Prospettive future?
Di certo il momento storico che stiamo attraversando non favorisce la riduzione di fenomeni di razzismo e xenofobia, né tanto meno pone le condizioni per accrescere le occasioni di scambio e di conoscenza diretta tra le culture. Proprio questo ci fa pensare alla necessità e all’urgenza di continuare il nostro lavoro e continuare a usare strumenti come “Rotte Migranti”. Stiamo ragionando sulla possibilità di continuare a proporre “Rotte Migranti” in altre aree della Sicilia, certi di riscontrare lo stesso interesse già riscontrato a Palermo. Tra l’altro è uno strumento valido per chiunque, dai giovani agli adulti, valido anche per chi in questo settore ci lavora, ma che a volte conosce solo un pezzo della storia. Insomma, sicuramente Rotte migranti tornerà, nel frattempo continuiamo con il nostro lavoro di in-formazione e sensibilizzazione, di costruzione di una narrazione diversa in contrasto con le dilaganti forme di razzismo e discriminazione.
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