Costretti a fuggire “semplicemente” per aver fatto il proprio lavoro. Accade a numerosi giornalisti in varie parti del mondo. Come a MARIE-ANGELIQUE INGABIRE, che nel 2013 è stata costretta a lasciare il suo Paese, il RUANDA.
«Non riesco ancora a esprimermi del tutto liberamente, anche se oggi vivo qui in Europa. Avevo iniziato a scrivere un libro ma poi ho smesso: sì, per paura, perché in Ruanda continuano a vivere i miei parenti. E se n’è andata anche parte della mia motivazione al mestiere, anche se non ho smesso…».
Nata nel 1982, Marie-Angélique Ingabire, diplomata al liceo psicopedagogico, ha lavorato come insegnante di francese e inglese nei licei. Nel 2009 vince un concorso bandito dalla Tv nazionale ruandese e viene assunta come reporter-produttrice: lavora in un programma settimanale dal titolo Sviluppo rurale, a trasmissioni in diretta e a programmi su eventi politici e sociali, al montaggio di programmi, alla rassegna stampa mattutina.
Fa questo lavoro dal gennaio 2010 fino all’ottobre 2013, quando lascia il suo Paese. Marie-Angélique Ingabire, infatti, è stata costretta all’esilio per alcuni reportage non “organici” alla propaganda del governo, secondo il quale nessun ruandese vive in povertà.
Inoltre le autorità le avevano chiesto di usare la sua posizione di “opinion leader” per testimoniare sostanzialmente il falso nella “gestione” della memoria del genocidio “degli hutu ai danni dei tutsi” nel 1994. Lei si è rifiutata: «Chiedendo a un”etnia’ di ‘scusarsi’ con l’altra si mirava a una colpevolizzazione generale. Io non sono negazionista, però le colpe dei padri non ricadono sui figli», argomenta oggi.
Ma per tutto questo è stata illegalmente detenuta e ha subito soprusi. Uscita dal carcere, non ha avuto altra scelta che fuggire in Francia, dove ha ottenuto lo status di rifugiato. Oggi scrive su L’oeil de l’exilé, rivista della Maison des journalistes, l’associazione parigina che accoglie i giornalisti costretti a fuggire dal loro Paese «per aver voluto praticare un’informazione libera».
La vicenda di Marie-Angélique Ingabire non è isolata. L’ultimo Rapporto annuale di Amnesty International continua a denunciare il clima di repressione che in Ruanda circonda giornalisti, difensori dei diritti umani ed esponenti dell’opposizione.
«Nessuno esprime liberamente le sue idee se si tratta di andar contro la propaganda del presidente Kagame e del suo regime», ha testimoniato Marie-Angélique Ingabire a Torino.
Ingabire ha riferito che il governo si ingerisce pesantemente negli organi di autogestione e associativi dei giornalisti. Ha ricordato due giornalisti uccisi negli anni scorsi e l’arresto, le minacce e l’allontanamento subito da altri. Ma anche “piccoli” episodi che sanno di grottesco. Come quello del direttore d’antenna sospeso dal servizio per aver trasmesso una canzone di un artista detenuto («notare, una canzone che parlava di unità e riconciliazione…)». O quello di un montatore Tv «costretto a ‘spiegarsi’ per ore per aver mostrato il presidente nell’atto ‘sconveniente’ di soffiarsi il naso».
Il Ruanda occupa il 161° posto su 180 Paesi sotto l’indicatore della libertà di stampa monitorato da Reporters sans Frontières.
Testimonianza raccolta dalla redazione di Vie di fuga a un incontro pubblico organizzato con M. A. Ingabire a Torino dal Caffé dei giornalisti, in occasione della manifestazione “Voci scomode“.
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