E’ stato pubblicato “La salute come diritto fondamentale: una ricerca sui migranti a Torino”, un rapporto curato dal Laboratorio dei diritti fondamentali diretto dal professor Vladimiro Zagreblesky, già giudice della corte europea dei diritti dell’uomo. Si tratta del primo lavoro di questo Laboratorio, fondato nel 2011 e sostenuto dalla Compagnia di San Paolo.
Gli autori, i ricercatori Irene Boglino e Anthony Olmo, hanno centrato la loro attenzione su una questione fondamentale della nostra società, quella del diritto alla salute e in particolare in soggetti ritenuti più “fragili” sotto il punto di vista dei diritti, ovvero i migranti. Il metodo di lavoro ha previsto la raccolta di dati epidemiologici sulla salute della popolazione straniera e 96 interviste a operatori del settore quali medici, mediatori culturali, funzionari pubblici (Comune, Regione, Prefettura), psicologi, esponenti del privato sociale. Non è presente la voce dei migranti, come riconosce nell’introduzione lo stesso Zagrebelsky: “farlo avrebbe richiesto altri mezzi e altro tempo”, che pure lascia aperta la possibilità a ulteriori sviluppi della ricerca che coinvolgano la popolazione straniera.
I temi trattati ricoprono praticamente tutto lo spettro delle questioni relative alla salute e ai migranti a Torino: dagli aspetti normativi all’“offerta di salute”, dalle cause di ricovero alle malattie infettive e allo stato di salute mentale, dall’analisi delle difficoltà di accesso al servizio sanitario nazionale fino a quella sulle condizioni sottostanti al diritto alla salute, quali l’istruzione, il reddito, il genere, la provenienza. Il quadro che ne emerge viene definito dagli autori “a luci ed ombre”. I centri ISI, che forniscono assistenza anche ai migranti irregolari, sono ad esempio riconosciuti come strumenti importanti sul versante del diritto alla salute, mentre altrettanto non si può dire per la pratiche amministrativo-buraocratiche che talvolta rappresentano un vero e proprio ostacolo ad accedere a prestazioni sanitarie di cui i migranti avrebbero diritto.
Il caso di richiedenti asilo e rifugiati politici e per molti versi emblematico. La Città di Torino, come ricordano gli autori della ricerca, non riconosce il certificato di residenza a quanti non abbiano un domicilio fisso o si trovino presso strutture di accoglienza (una condizione che riguarda qualche centinaio di persone, come quelle che vivono in stabili occupati). Senza la residenza è molto più difficile accedere ai servizi tanto che per ovviare a questo inconveniente si è ricorsi a particolari accordi tra le istituzioni (Protocolli, ora scaduti) o alla decretazione d’urgenza, come quella relativa alla cosiddetta “emergenza Nord Africa” (in via di scadenza). Non si è però arrivati, come sottolinea la ricerca, a una normativa stabile che permetta a tutti i richiedenti asilo, rifugiati politici e titolari di protezione internazionale di avere un titolo riconosciuto di residenza che permetta loro il pieno accesso ai servizi, compreso quello sanitario. “Il lavoro del Laboratorio – ricorda ancora Zagrebelsky – vuole costruire strumenti pratici e non solo teorici perché i diritti fondamentali siano diritti esercitabili – e da esercitare – nella quotidianità, da tutti gli esseri umani”: strumenti a disposizione di amministratori e politici come punto di riferimento e guida per le scelte future.
La ricerca completa è a disposizione nel sito del Laboratorio dei diritti fondamentali: http://www.labdf.eu
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