* di Marco Calabrese
Dal 18 al 20 marzo, a Fa’ la cosa giusta, la Caritas Ambrosiana ha proposto un gioco di ruolo per sensibilizzare i partecipanti alla fiera sul tema dell’immigrazione, simulando il viaggio della speranza di tutti coloro che ogni giorno tentano la traversata per mare. Ne abbiamo parlato con Sara Zandrini, responsabile dell’area formazione di Caritas.
Attiva da anni sul territorio italiano con numerose iniziative in favore delle categorie sociali più deboli, la Caritas Ambrosiana ha proposto l’interessante e molto apprezzato gioco di ruolo Sconfinati alla fiera Fa’ la cosa giusta, svoltasi a Milano dal 18 al 20 marzo.
«Abbiamo deciso di proporre in questa, come in altre circostanze in passato, un gioco di ruolo per far sì che i visitatori provassero sulla loro pelle cosa significa essere un migrante» ci racconta, «in un momento come questo, in cui si parla molto di immigrati, soprattutto a livello di numeri, volevamo far conoscere al pubblico storie vere, di singole persone, mettere in luce l’aspetto umano dell’immigrazione».
Sconfinati: un gioco di ruolo per conoscere imparare sulla propria pelle
Nasce così il gioco di ruolo presentato in occasione della fiera milanese: «Abbiamo fatto in modo che i partecipanti potessero immedesimarsi totalmente in questa esperienza mettendoli nei panni di una persona che veramente ha vissuto questo viaggio. Per questo, tutte le identità scelte da noi operatori per l’occasione cercano di rappresentare, nel modo più esaustivo possibile, quella che è la complessa realtà del fenomeno. Donne, uomini, bambini, chi viaggia da solo o intere famiglie, ma soprattutto tanti paesi di provenienza diversi: non soltanto quelli di cui si sente spesso parlare in televisione – Siria in primis – ma anche tutti gli altri da cui provengono le persone con cui ci confrontiamo ogni giorno». E il sottotitolo del progetto Sconfinati – “Siamo tutti sulla stessa barca” – ha proprio questo intento: avvicinare due prospettive spesso troppo lontane.
Il percorso all’interno dello stand, suddiviso in tre parti, durava circa quindici minuti. Durante la prima i partecipanti hanno dovuto districarsi, proprio come i veri migranti, tra mille difficoltà: in particolar modo hanno affrontato soggetti senza scrupoli, interpretati dai volontari della Caritas, che simulano in modo realistico, talvolta anche drastico, quelle che sono le situazioni reali. «Hanno dovuto contrattare il viaggio sul gommone, con l’eventuale acquisto del salvagente, che a volte può essere sbagliato o non omologato, trovandosi in una situazione di forte disagio. I nostri operatori, infatti, parlavano il meno possibile e in inglese, fornendo informazioni confuse senza facilitare in alcun modo la vita ai “giocatori”». «Volevamo mostrare», continua, «la spersonalizzazione della persona, quella che le identità che loro rappresentavano in quel momento avevano realmente subito prima della loro partenza».
La seconda parte, invece, si è svolta in uno stanzino su una piccola imbarcazione. In quattro minuti è stata ricostruita quella che è la traversata in sé: le luci, i rumori del mare, i gabbiani, le voci degli adulti e i pianti dei neonati. «L’elemento di disagio maggiore, in questo caso, era quello di essere in troppi su questa barca. Volevamo trasmettere il senso della partenza e ricreare il più possibile quelle che sono le condizioni in cui effettivamente le persone giungono sulle nostre coste».
Infine, la terza ed ultima parte del gioco Sconfinati: una volta “sbarcati” i partecipanti, o meglio coloro che si sono salvati grazie all’ “attrezzatura” comprata in precedenza, si sono trovati di fronte ad un muro su cui capeggia la scritta “Benvenuti in Europa”: sotto di questa, una serie di foto che aiutano i migranti a ritrovare i membri della propria famiglia persi durante il tragitto. «A differenza di quanto si sente dire quasi tutti i giorni riguardo alle morti in mare o al numero di persone che arrivano, abbiamo deciso di evidenziare un altro aspetto: quello dei legami familiari spezzati durante questi lunghissimi viaggi». Una volta superata questa prima “frontiera” i partecipanti sono stati smistati in base alla loro nazionalità: da una parte coloro che hanno potuto presentare richiesta d’asilo, dall’altra coloro che invece erano destinati a ricevere un foglio di via. «Quello che è accaduto nelle settimane scorse, che è stato denunciato da Caritas, è che l’accesso alla richiesta fosse favorito secondo la nazionalità, perdendo quella particolarità che invece è propria di ogni situazione di un possibile richiedente, quindi se nel suo paese rischia di essere perseguitato per i motivi riconosciuti a livello internazionale».
Sconfinati ricondotto alla realtà dei fatti: chi sopravvive?
Infine, una volta concluso il gioco di ruolo, i partecipanti hanno potuto consultare un sito internet in cui scoprire se il personaggio che hanno interpretato è sopravvissuto alla traversata e, se si, dove vive e cosa fa nella vita reale.
«È stata un esperienza decisamente molto positiva, e abbiamo avuto un riscontro positivo specialmente da parte dei ragazzi più giovani: alcuni sembravano quasi non credere che certe storie potessero essere vere. Anche gli adulti hanno avuto reazioni molto positive: abbiamo offerto uno spunto, un punto di partenza più stimolante rispetto ad altri mezzi di comunicazione per una successiva riflessione personale sul tema».
Non ci sono ancora date ufficiali o situazioni in cui il progetto verrà riproposto ma le richieste non mancano ed è intenzione della Caritas continuare la sensibilizzazione su questo argomento.
«Quello che più mi ha colpito» conclude «è che eravamo ad una fiera, quindi in un luogo dove la gente cerca spensieratezza, ma tutti coloro che hanno intrapreso questo piccolo viaggio sono usciti sia angosciati e impauriti sia ringraziandoci per aver mostrato loro questa realtà. Non è vero che le persone non hanno voglia di affrontare temi fastidiosi, non leggeri, sicuramente c’è bisogno di darsi occasioni per farlo in modo diverso, non solo durante dei convegni o con dei report. Abbiamo usato dei codici nuovi, poco approfonditi, ma che ci hanno permesso di entrare in contatto con persone che altrimenti, probabilmente, non avrebbero conosciuto questo tema. Dopo il percorso abbiamo fornito un breve fascicolo informativo su quello che è il fenomeno reale, che viviamo tutti i giorni. Si tratta di fenomeni complessi, che necessitano di vari strumenti per essere approfonditi trovando di volta in volta i giusti codici di comunicazione».
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