di Fredo Olivero * I CIE (Centri di identificazione ed espulsione) sono nell’elenco dei “Centri dell’immigrazione” del Ministero dell’Interno insieme ai CDA (Centri di Accoglienza) ed ai CARA (per richiedenti asilo), ma la loro è una finalità particolare: possono “ospitare”, fino a 18 mesi (!), immigrati stranieri “clandestini” in attesa di espulsione, i più senza aver commesso reati, se non quello di aver calpestato il suolo italiano fuggendo dalla guerra, da rivolte, da situazioni di grave pericolo. Alcune delle persone presenti nei CIE hanno invece commesso qualche reato più grave, sono state in carcere senza identificazione della propria ambasciata ed ora, in attesa di riconoscimento, stanno nel CIE Le rappresentanze dei loro Paesi (Nord Africa, Nigeria) spesso impiegano mesi e mesi per operare la loro identificazione. Si tratta però di una minoranza, i più sono solo “colpevoli” del reato di clandestinità previsto dalla legge 94/2009, ed ora dalla legge 129/2011, ulteriormente peggiorativa. I CIE sul territorio nazionale sono 13: il più grande è a Roma, Ponte Galeria, (300 posti), poi ci sono Trapani, Bari e Torino con 180 posti. Il clima che si respira tra gli “ospiti obbligati” è di rabbia e tensione. A Torino la struttura è composta da 7 gabbie (una per le donne) di circa 25-30 posti ognuna, situate all’interno della recinzione (muro con griglia) alta 9 metri. E’ anche presente una struttura nuova e dignitosa, ma che si trova in cattivo stato perché “vandalizzata” dalle continue rivolte dei detenuti esasperati. D’altra parte la “rabbia” tra questi