A Tokyo 2020 l’atleta del Refugee Olympic Team, il primo rifugiato ad essersi mai qualificato per una maratona olimpica, è arrivato 16° (su altri 75 colleghi che nell’afa di Sapporo sono riusciti a concludere la prova) a pochi minuti dal vincitore: da oggi può dirsi tra i migliori atleti del mondo. Si è “allenato” fra l’altro attraversando a piedi il deserto verso il Sudan, l’Egitto e poi Israele in fuga dall’Eritrea, quando era ancora un ragazzino di 12 anni.
[L’Olympic Refugee Team] sarà un simbolo di speranza per tutti i rifugiati e renderà il mondo più consapevole dell’entità di questa crisi. È anche un segnale alla comunità internazionale, per dire che i rifugiati sono una risorsa per tutta la società (Thomas Bach, presidente del CIO)
Certo, in buona parte del mondo e nel Mediterraneo è un’ennesima estate di orrori e violenze, di guerra, di sofferenza, di sradicamento. Ma non si può restare indifferenti alla foto qui sopra, che coglie tutta l’esultanza di Tachlowini Gabriyesos, 16° oggi a Sapporo nella prestigiosa maratona maschile con un tempo di 2 h 14′ 02”.
Il vincitore della gara, un insuperabile Eliud Kipchoge, kenyano, è arrivato solo pochi minuti prima, in 2 h 08′ 38”, mentre l’ultimo dei 76 atleti che sono riusciti a finirla (una trentina non ce l’hanno fatta, in questa giornata afosa e soffocante) ci ha messo due ore e tre quarti.
Portabandiera del Refugee Olympic Team alla cerimonia di apertura di Tokyo 2020, Gabriyesos è stato il primo atleta rifugiato a qualificarsi per una maratona olimpica. E da oggi, nella top 20 di Sapporo, può dirsi uno dei migliori atleti del mondo.
È fuggito dall’Eritrea quando aveva 12 anni, già accompagnato dalla passione per l’atletica. Ha attraversato il deserto a piedi passando per il Sudan e l’Egitto, per poi approdare in Israele: oggi vive e si allena a Tel Aviv e ha già fatto una maratona in 2 h 10′ e 55”.
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