Un rapporto della commissione Migrazione e Rifugiati dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa fa il punto sul tema “lavoro e diritto d’asilo”: i diritti sulla carta, la loro attuazione concreta e le buone pratiche presenti in alcuni Paesi.
Aiutare i rifugiati e i richiedenti asilo a trovare lavoro? Fa bene, anzi conviene. Vedere a Wuppertal, in Germania, dove nel programma “Netzwerk Partizipation-Partizipation Plus” organismi non profit e autorità locali collaborano per mettere in contatto i richiedenti asilo e i rifugiati col mercato del lavoro.
Si stima che il “Netzwerk”, ad alto tasso di collocamento, alla fine dell’agosto 2013 abbia già portato a Wuppertal, una città di 340 mila abitanti della Renania settentrionale-Vestfalia, benefici economici per tre milioni e 350 mila euro.
L’Europa del refugee gap
Il “caso” di Wuppertal fa parte delle buone pratiche citate nel rapporto Refugees and the right of work, appena pubblicato dalla commissione Migrazione e Rifugiati dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa (Coe).
Molti Paesi membri del Coe prevedono per i rifugiati il diritto al lavoro, considerandolo (tra l’altro) un vantaggio per le stesse società ospitanti. Ma, come afferma la commissione Migrazione, permane ancora una sfasatura fra il diritto sulla carta e la sua applicazione pratica: è il cosiddetto “refugee gap“.
Quelle resistenze con i richiedenti asilo…
Adottando il rapporto, curato dal parlamentare inglese Christopher Chope, la commissione si è espressa per una riduzione degli ostacoli amministrativi e pratici all’accesso al lavoro dei rifugiati. Segnala l’utilità dei corsi di lingua e di job-finding. E ricorda che anche i richiedenti asilo devono avere la possibilità di lavorare se l’esame della loro pratica si protrae nel tempo.
A proposito dei richiedenti asilo, il rapporto Refugees and the right of work argomenta: «Secondo alcuni Stati, la concessione del diritto al lavoro ai richiedenti asilo sarebbe un fattore di attrazione, anche se mancano solide conferme per questa ipotesi. Comunque, l’Unhcr e altri sostengono che aver avuto accesso al lavoro dà beneficio ai richiedenti sia nel caso che poi ricevano un permesso di soggiorno, sia nel caso di re-integrazione nei Paesi d’origine. Vivere in una situazione economica e materiale migliore, acquisire nuove capacità, godere di un migliore stato di salute e di benessere è sicuramente positivo per il singolo e per la società».
“Senza il diritto al lavoro, gli altri diritti sono parole vuote” (L. Henkin, delegato Usa per la Convenzione di Ginevra del ’51).
Collegamento
Il rapporto Refugees and the right of work (Coe, marzo 2014)
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