Il 14 gennaio 2011 in Tunisia viene dichiarato lo stato di emergenza, il Presidente Zine El Abidine Ben Ali perde il potere effettivo ed è costretto a scappare in Arabia Saudita. Negli stessi giorni incominciano gli sbarchi sulle coste dell’isola di Lampedusa di migliaia di cittadini tunisini. Ma a che titolo queste persone possono stare in Italia? La Tunisia non rientra infatti tra quei Paesi che vivono una situazione di guerra civile e quelle persone che sono uscite dal Paese probabilemente non rischiano in prima persona per la propria vita, motivazione che è alla base della concessione dell’asilo politico. La crisi da cui fuggono è in primo luogo governtiva ed economica.
Il governo italiano grida all’emergenza, evoca l’immagine dell’esodo biblico e dell’invasione, invoca l’aiuto dell’Europa. La situazione sull’isola di Lampedusa (il centro di prima accoglienza era ormai chiuso da tempo) diventa critica: alla fine di marzo si arriva a una presenza di circa 6.000 migranti (a fronte di una popolazione di 6.000 abitanti tra Lampedusa e Linosa), lasciati all’aria aperta e in condizioni indecenti.
Per risolvere la situazione, il governo invia sull’isola delle navi che trasferiscono i migranti in altre zone d’Italia e comincia ad adottare una serie di provvedimenti al fine di gestire questa situazione definita di “emergenza”. I trasferimenti avvengono verso tendopoli e centri, inclusi i CIE. La situazione diventa incandescente dal mese di febbraio quando proteste, incendi, scioperi della fame e atti di autolesionismo (ci si dà fuoco, si tenta di impiccarsi, ci si ferisce con lamette, ci si cuce le labbra) si registrano nei bollettini dei CIE di tutta Italia. Le notizie arrivano tramite telefonini e viaggiano subito in rete.
Dal 1° gennaio al 6 aprile 2011 in Italia ci sono stati 390 sbarchi sulle isole Pelagie; sul totale degli arrivi 21.519 erano tunisini provenienti dal sud della Tunisia. Nessuno di loro possedeva un regolare visto di ingresso in Italia pertanto tutti loro risultavano clandestini. Dove sono stati? Chi nei CIE, chi nei C.A.R.A., chi nei centri di accoglienza per migranti o presso associazioni di volontariato, chi su un treno per Parigi. Questo perché l’atteggiamento di chiusura da parte del Governo Italiano rispetto ai migranti sbarcati sulle nostre coste ha rallentato il processo di regolarizzazione e ha favorito la scelta di considerarli clandestini a prescindere, redistribuendo le persone sul territorio in grandi punti di raccolta in attesa del loro rimpatrio.
Ma questo tipo di scelte è in contrasto con il buon senso. E infatti una soluzione legale arriva ad aprile. Non si tratta d’altro che dell’applicazione di quanto già contenuto nella legge “Bossi-Fini”: si decide la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari di sei mesi. I titolari sono 14.500, secondo le presenze stimate dal Viminale nei vari centri, ma i beneficiari effettivi per varie ragioni sono circa la metà. Da questo momento in poi nessuno pare più interessarsi al loro destino. La Francia, meta preferita per la maggior parte di loro, non li vuole e chiude le frontiere. Diverse migliaia di tunisini si accalcano alla stazione di Ventimiglia. Si registra qualche scontro con la Polizia e qualche sciopero della fame e poi più nulla. Qualche decina riesce a passare la frontiera e si organizza fondando il collettivo dei tunisini di Lampedusa a Parigi.
Su tutti gli altri tunisini cala il silenzio mentre la data di scadenza del permesso di soggiono temporaneo si avvicina inesorabilmente. Difficile dire con esattezza che cosa è della loro sorte. Alcuni sono in qualche modo riusciti a varcare il confine transalpino, qualcun altro è rimasto in Italia, ospitato da amici, parenti. Vi sono dei tunisini anche nei centri d’accoglienza gestiti dalla Protezione Civile. Si tratta di cittadini con la “scadenza” perché ad ottobre non sarà più valido il permesso temporaneo concesso ad aprile. Cittadini, oggi regolari, che stanno per diventare clandestini. Del loro destino nessuno si occupa più. L’emergenza “biblica” è sparita, come se questi tunisini non fossero mai arrivati nel nostro Paese.
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