La nuova invasione dell’Ucraina non ci sarà (forse). Ma nell’ultimo autunno gli episodi di mancata sicurezza registrati lungo la linea di confine con le “repubbliche” separatiste di Donetsk e Lugansk hanno superato del 50% quelli dello stesso periodo del ’20. Dal 2014 la guerra “a bassa intensità” nell’Est del Paese è costata solo ai civili 3.100 morti e oltre 7.000 feriti; 13 mila le vittime totali, con la fuga di un milione e mezzo di sfollati e 81.500 richiedenti asilo nell’UE. Forze armate e milizie di tutte le parti in causa sono responsabili di gravi violazioni dei diritti umani. Intanto, sono ben 174 le violazioni del cessate il fuoco registrate in 24 ore due giorni fa.
«Se torni stasera alle sei, lo sentirai quali sono i nostri problemi». «La sicurezza? Abbiamo ancora persone che saltano sulle mine e sparatorie dappertutto». «Noi innaffiamo il giardino e sentiamo il fischio delle pallottole e i bombardamenti nelle vicinanze. Puoi solo piangere, o andartene». «Il nostro villaggio viveva d’estate: villini per le ferie, centri ricreativi, pesca, servizi turistici. A causa del conflitto tutte le dacie sono andate a fuoco. L’accesso al mare (il mar d’Azov, ndr) è minato. Ora il paese è chiuso, i turisti non si fanno vedere, le infrastrutture sono a pezzi, tutto è in rovina».
La nuova invasione (forse) non ci sarà, al culmine della più grottesca escalation di tensione Est-Ovest dei nostri anni. Ma è così che si vive ogni giorno, oggi, lungo la contact line fra l’Ucraina e le “repubbliche” separatiste di Donetsk e Lugansk, malgrado il cessate il fuoco del 2020. Lo hanno documentato le testimonianze raccolte in una ricerca condotta dall’UNHCR e dall’ONG Proliska, nel 2021, sui lati ovest e nord di questo confine dimenticato.
Riferiva invece l’Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari alla fine di novembre: «Dopo sette anni, la prolungata crisi umanitaria è evaporata dai media globali, provocando l’errata percezione che sia “congelata”. Il cessate il fuoco mediato nel luglio 2020 è diventato sempre più fragile, con il risultato che il numero di vittime civili è tornato ai livelli ad esso precedenti. Le infrastrutture civili finiscono spesso sotto tiro e i terreni largamente infestati di ordigni esplosivi e mine rimangono un fenomeno di grave preoccupazione».
“A bassa intensità”
Solo fra l’agosto e l’ottobre ’21, gli episodi di (mancata) sicurezza registrati in queste regioni hanno superato del 50% quelli dello stesso periodo del ’20. Dal 2014, la guerra “a bassa intensità” in Ucraina è costata ai civili 3.100 morti e oltre 7.000 feriti.
«Senza una soluzione politica al conflitto – prevedeva ancora l’ONU – è probabile che la situazione umanitaria continuerà ad aggravarsi nel 2022, in particolare nelle aree non controllate dal governo (NGCA, cioè i territori separatisti, ndr). L’impatto socioeconomico della pandemia di COVID-19 nell’Ucraina orientale è peggiorato per la chiusura prolungata della “linea di contatto”, per le restrizioni alla circolazione e per le ridotte opportunità di sostentamento. I residenti delle NGCA, in particolare gli anziani, sono quelli che hanno subito in maniera più pesante le restrizioni ai movimenti attraverso la contact line, che li hanno tagliati fuori dai servizi di base e dai benefici di welfare, fra cui le pensioni».
In Ucraina il conflitto ha causato via via, dal 2014, quasi un milione e mezzo di sfollati (dato UNHCR su comunicazione governativa) su meno di 45 milioni di abitanti, compresa la Crimea annessa dalla Russia proprio in quell’anno. Erano ancora 734 mila gli sfollati presenti nelle zone controllate dal governo di Kiev (GCA) nel novembre 2021. A questa data, lungo la contact line, fra GCA e NGCA l’UNHCR stima la presenza di 1.620.000 persone vulnerabili che in qualche modo subiscono gli effetti delle ostilità.
Dal novembre ’21 a un giorno d’inverno di questo 2022, il 14 febbraio, due giorni fa: in sole 24 ore la missione di monitoraggio dell’OSCE in Ucraina ha registrato 174 violazioni del cessate il fuoco nelle regioni di Lugansk e Donetsk, fra cui una quarantina di esplosioni.
81 mila richiedenti asilo nell’UE
Amnesty International in queste settimane ha ricordato che fra il 2014 e 2015, nel periodo più buio della guerra del Donbass, tutte le parti in conflitto, forze armate russe e di Kiev, gruppi armati separatisti e “lealisti”, hanno violato il diritto internazionale umanitario. In quelle terre hanno lasciato in totale 13 mila morti, un retaggio che continua a crescere. E una società, e un’economia, in ginocchio.
Dal 2014 al settembre 2021 hanno chiesto asilo nell’Unione Europea 81.500 cittadini ucraini (richiedenti asilo per la prima volta, fonte Eurostat). Le fughe più numerose finora si sono verificate proprio nel tragico biennio 2014-2015, rispettivamente con 13.500 e 21 mila richiedenti, contro gli appena 700-900 annui del triennio precedente. Sono invece “solo” 4.200 gli ucraini che hanno chiesto protezione nei primi nove mesi del ’21.
Oggi, avverte Amnesty, «le conseguenze dell’uso effettivo della forza militare sarebbero probabilmente devastanti. La recente storia dell’Ucraina è punteggiata da conflitti con le truppe russe, nella regione orientale del Donbass e in occasione dell’annessione illegale della Crimea. Comunità sono rimaste divise, vite sono andate in frantumi, le forze armate hanno calpestato impunemente i diritti dei civili. È il momento di spezzare questo circolo vizioso».
Con la diplomazia, ma una diplomazia degna di questo nome, da Mosca a Washington, a Bruxelles.
Collegamento
Storia dell’Ucraina, la timeline fino al 2020 (fonte BBC, in inglese)
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