Il 24 febbraio 2014 il presidente dell’Uganda, Yoweri Museveni, firma ufficialmente la cosiddetta legge “Anti-Gay” che lo stesso Parlamento aveva approvato il 20 dicembre 2013. La nuova legge proibisce qualsiasi relazione sessuale tra persone dello stesso sesso, pena il carcere a vita, e punisce anche il solo tentativo di relazione con sette anni di carcere. Viene introdotto il reato di omosessualità aggravata (punito sempre con l’ergastolo) per chi è “recidivo”, affetto da HIV, o per chi commette il reato con una persona minorenne o disabile. Punisce poi con sette anni di carcere chi affitta appartamenti o stanze a persone che avrebbero usato tali immobili per compiere tali “reati”. La legge vieta anche qualsiasi riconoscimento di queste relazioni, e punisce qualsiasi forma ritenuta di promozione o incoraggiamento a comportamenti omosessuali. Può essere pertanto condannato chiunque finanzi una qualsiasi attività legata a questo “reato”, e qualsiasi atto che ha l’intento di agevolare e sostenere l’omosessualità. Il provvedimento è molto popolare ed è fortemente voluto da tutte le chiese ugandesi. La firma della legge è stata invece energicamente osteggiata dalla gran parte dei Paesi occidentali. Tra questi, gli Stati Uniti, principale Paese donatore, mentre la Svezia, la Norvegia e la Danimarca hanno deciso di sospendere gli aiuti internazionali.
L’eugenetica degli scienziati ugandesi
A Kampala regna la solita confusione: venditori di ogni sorta, boda boda (moto-taxi) e passanti più o meno indaffarati animano le strade della capitale ugandese. Si direbbe che non sia cambiato nulla. La nuova legge cosiddetta “Anti-Gay“ sembra non aver turbato la vita di nessuno, anzi. In città l’argomento è caldo, la gente non parla d’altro e la credibilità popolare del Presidente è ampiamente cresciuta. Sono in molti a gioire. “Era ora di frenare questa malattia, Museveni ha fatto bene e ha guadagnato credibilità, noi africani abbiamo valori diversi dai musungu (i bianchi) che non possono venire a dettarci la nostra morale. Il colonialismo è finito 50 anni fa”, racconta J., studente universitario. La nazione sembra essere restaurata, finalmente salva da quello che pubblicamente viene definito un “invadente imperialismo sociale” da parte dei bianchi. Il Presidente non ha soltanto rafforzato la sua immagine pubblica in vista delle elezioni del 2016. La sua decisione si basa su una rinnovata retorica nazionalista, di una presunta “purità” nazionale opposta alla decadenza morale occidentale, che si nutre anche di argomenti eugenetici. Infatti nel discorso ufficiale, al momento della firma della legge, Museveni ha giustificato la sua posizione avvalendosi del parere degli scienziati.“In natura ci sono rare deviazioni dal normale”, ha detto il vecchio leader, “Pensate al caso degli albini, donne e uomini calvi o donne senza seno. Pensavo fosse sbagliato punire qualcuno sul fatto di essere nati anormali. (…) Per questo avevo inizialmente rifiutato di firmare la legge (…) Nel frattempo ho pensato di sottoporre questa opinione ai nostri scienziati del Dipartimento di genetica, presso la facoltà di Medicina dell’Università di Makerere. La loro opinione unanime è che, contrariamente a quello che pensavo, l’omosessualità è un comportamento senza nessuna base genetica. È qualcosa di appreso che può essere disimparato, nessun gene è causa di questa anormalità”.
Panico nella comunità gay
C’è un’altra comunità che invece trema, quella che da un giorno all’altro è diventata ufficialmente il capro espiatorio di un’intera società: gli ugandesi LGBTI (Lesbian Gay Bisexual Transgender Intersexed). Sono persone che in questi giorni vivono prigioniere nelle loro stesse case, asserragliate, con il terrore che da un momento all’altro qualcuno di inaspettato possa bussare alla porta. Ci sono due grandi nemici in questo momento: la delazione e la recrudescenza dell’omofobia popolare. Nonostante la legge punisca gli atti sessuali tra persone dello stesso sesso, i tentativi di svolgerli e qualsiasi attività che promuova questi contenuti, è molto difficile che la polizia trovi qualcuno “sul fatto”. È invece più plausibile che un vicino ostile decida di prendersi una vendetta o che un falso amico prenda l’iniziativa di denunciare un “innaturale” orientamento sessuale. Del resto, il giorno dopo la firma della legge da parte del Presidente, uno dei più accaniti giornali di gossip ,ugandese Red pepper, ha deciso di pubblicare circa 60 nomi di persone LGBTI o semplicemente di cittadini solidali alla loro causa. Una scelta editoriale che sicuramente ha aumentato le vendite di quel numero, ma dall’altro ha anche rappresentato un esempio ai lettori di come si può infangare la reputazione di qualcuno e metterlo in grave rischio nel giro di poche ore. Nei giorni successivi, grazie al successo delle vendite, lo stesso giornale ed altri cinici tabloid (“The Sun” e “Hello”) hanno cominciato una vera e propria campagna sensazionalistica con la pubblicazione giornaliera di nomi e fotografie di persone “coinvolte”. L’idea che viene portata avanti è quella di una vera e propria “società segreta” supportata da organizzazioni e governi occidentali, con tanto di “Presidente” e “Ministri”, che reclutano giovani nelle scuole per abusare di loro e iniziarli all’omosessualità. Queste delazioni pubbliche rendono molto alto l’altro terribile rischio, cioè la possibilità che qualcuno decida di farsi giustizia da sé contro qualcuno “accusato” o “sospettato” di appartenere alla setta. “Il nostro primo governo sono le persone per strada” mi dice H., un giovane di appena 20 anni. Le prime vittime di questi giudici di strada sono soprattutto i transgender, cioè coloro che esprimono un’identità di genere differente dal sesso assegnato alla nascita. Coloro i quali diventano per gli altri i vestiti che indossano o la voce che hanno, perché non rappresentano i “normali” canoni di femminilità o mascolinità.
Rifugiati e omosessuali: ancora in fuga
Ma anche in questa situazione drammatica per tutti, i poveri sono quelli che rischiano di più. Tra questi ci sono i rifugiati LGBTI, cioè coloro che sono già scappati dai proprio Paese per sfuggire ai loro aguzzini e che si ritrovano in un paese di rifugio che li vorrebbe morti. Sono loro che negli slum, senza nessuna misura di sicurezza che li protegga, né la possibilità di chiudersi in casa, vivono continuamente esposti ai loro potenziali aggressori. “Come faccio a sparire? Vado in bagno, cucino all’aperto e prendo l’acqua, se qualcuno volesse aggredirmi potrebbe farlo in pieno giorno. Sanno che non posso andare dalla polizia a denunciare”, dice N. congolese rifugiato. Nessuna organizzazione sembra in grado di proteggerli e anche lo strumento del resettlement (nda. la possibilità per questi rifugiati di essere accolti in un Paese terzo) sembra un privilegio concesso a pochi eletti. Gli Stati Uniti e i Paesi Europei, oltre a fare pressioni sul governo ugandese, dovrebbero anche pensara a mettere in campo ma anche di speciali provvedimenti di protezione per queste persone che rischiano la vita. Non tutti però sono pronti a scappare, alcuni pensano che sia il momento di resistere. Un attivista spiega: “ Non è facile ricominciare una vita nuova, questa è la mia terra ed io appartengo ad essa. Se non siamo noi a combattere per i nostri diritti sarà peggio per coloro che verranno dopo di noi. Siamo pronti a soffrire perché solo così le cose possono cambiare”.
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