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Popolazione: 32.000.000
Capitale: Kabul 

L’Afghanistan (ufficialmente Repubblica Islamica dell’Afghanistan) è uno stato dell’Asia centrale che confina con Iran, Turkmenistan, Pakistan, Uzbekistan, Tagikistan e con la Cina nel cosiddetto corridoio del Vacan (lembo di terra che si trova totalmente nella zona del Pamir). È una terra d’incontro millenaria fra diverse popolazioni dove tutt’ora coabitano popoli di origine iranica, turca e indiana. Le lingue ufficiali sono due e riflettono i due gruppi etnici prevalenti: il dari (gruppo persiano) e il pashtu (gruppo pashtun).

A livello amministrativo il Paese è diviso in 34 province; a capo di ognuna si trova un governatore nominato dal Ministro degli Interni che rappresenta il governo centrale. I poteri dei governatori riguardano la sfera amministrativa e altre questioni formali. L’unica eccezione riguarda la capitale, Kabul, dove è eletto un sindaco direttamente dal presidente della Repubblica.
Le province sono a loro volta suddivise in distretti.

Tipo di governo e politica recente

Afghanistan

L’Afghanistan ufficialmente è una repubblica islamica di tipo presidenziale. L’attuale presidente, eletto il 21 settembre 2014, è Ashraf Ghani Ahmadzai, già ministro delle finanze nel precedente governo. Ghani succede a Hamid Karzai, primo presidente afghano dalla caduta dei Talebani avvenuta nel 2001. Karzai è stato di fatto capo del Paese per 13 anni; prima come capo di Stato ad interim fra il 2001 e il 2004, eletto ufficlamente nel 2004 e riconfermato, nonostante i brogli a lui contestati, nel 2009, in seguito al ritiro del suo sfidante al ballottaggio, Abdullah Abdullah.
Legge fondamentale del paese è la carta costituzionale di 160 articoli approvata nel 2004. Tale documento delinea un regime presidenziale forte, nel quale l’Islam trova una collocazione centrale. Il parlamento è bicamerale, composto da una camera bassa, avente il compito di scrivere e ratificare le leggi, e da una camera alta con funzioni consultive.
L’Afghanistan non ha ancora raggiunto un assetto definitivo e risulta difficile ricostruirne la situazione attuale, soprattutto perché sta rapidamente scivolando fuori dalla cronaca internazionale. La guerra infinita tra forze ISAF (International Security Assistance Force, il contingente ONU) e Talebani non fa più notizia e l’impegno internazionale sul territorio sta diminuendo, a partire dagli Stati Uniti.

Guerra

L’Afghanistan non conosce un periodo di pace duratura dagli anni ’70 del 1900. Una permanente guerra civile che coinvolge da decenni tutto il territorio si è sommata a occupazioni straniere, prima dell’ex Unione Sovietica (1979) poi di un contingente di forze guidato dagli USA (2001), a seguito dell’attacco alle Torri Gemelle e al Pentagono. Quest’ultima occupazione, tutt’ora in corso e iniziata da George Bush con il nome di Giustizia Infinita e poi in un secondo momento di Liberta Duratura, aveva come scopo principale il rovesciamento del governo dei Talibani, lo smantellamento di al-Qaeda e di conseguenza del terrorismo islamico, accusato di essere minaccia permanente per tutto l’occidente.

La prima parte del programma americano è stata realizzata in un paio di mesi: il 13 novembre 2001 Kabul è presa e due terzi del paese sono recuperati econsegnati all’Alleanza del Nord, il gruppo di combattenti nato nel 1997 per contrastare il potere dei Talibani guidati dal Mullah Omar e poi smantellato dalle scelte governative di Karzai. Per quanto riguarda la lotta al terrorismo nulla sembra risolversi in maniera definitiva costringendo solo ad aggiornare il numero delle vittime giorno per giorno, sia fra i civili che fra i soldati stranieri. In risposta ai continui attentati nelle principali città la coalizione di forze straniere (che comprende Usa, Gran Bretagna, Canada appoggiate dall’Unione Europea, dalle forze Nato e da Cina, Russia, Israele, India, Arabia Saudita, Pakistan) procede a un graduale e continuo rinforzo che conduce nel 2006 a una nuova azione nel sud, zona ancora sotto il controllo dei Talibani e dei narcotrafficanti. Questa azione nasce soprattutto dal fatto che l’Afghanistan è il maggior produttore mondiale di oppio, dai cui ricavi tutte le forze irregolari del paese acquistano armi, e che una delle volontà sottese a questa occupazione armata è il controllo definitivo del paese e della sua economia. L’Afghanistan infatti per la sua posizione chiave è il paese che permetterebbe il controllo dell’Asia: attraverso i gasdotti e le vie commerciali si potrebbe avere un collegamento diretto con tutta l’Asia centrale, Pakistan e India.

Nel dicembre del 2009 il presidente americano Obama ha reso pubblica la propria cosiddetta exit strategy, ovvero il piano USA per uscire dal coinvolgimento militare. Il ritiro delle truppe statunitensi dovrebbe avvenire entro la fine del 2016 ma con la presidenza Trump le condizioni mutano e si arriva all’Accordo di Doha (2020). L’esito di questi negoziati, che ha visto protagonisti gli USA e i Talebani, ha escluso e indebolito il Governo di Kabul, mentre ha rafforzato i Talebani, che hanno ottenuto, almeno in parte, la legittimità internazionale a cui ambiscono da anni.

Ad aprile 2021 il presidente Usa Joe Biden annuncia che le residue truppe statunitensi sarebbero state ritirate entro l’11 settembre 2021, in occasione del ventennale dall’attacco alle Torri gemelle di New York. La data scelta da Biden posticipa di circa quattro mesi quella concordata tra Talebani e Washington nell’Accordo di Doha che prevedeva il ritiro delle truppe straniere entro il 30 aprile 2021 a condizione che i Talebani rispettassero alcuni impegni, tra cui la rottura con i gruppi terroristici internazionali e la disponibilità sul processo di Pace. La scelta di Biden di non rispettare il calendario del ritiro concordato dal suo precedessore ha offre un’altra occasione ai Talebani, i quali rifiutano di partecipare a una conferenza di Pace sotto l’egida dell’Onu che si sarebbe dovuta tenere tra aprile e maggio 2021 a Istanbul.

Il 15 agosto 2021, completato ormai in anticipo il ritiro americano deciso a Doha, Kabul cade in mano dei Talebani, ultima di una serie di grandi città (Herat, Kandahar, Jalalabad) e città minori conquistate nelle settimane precedenti. I Talebani si mettono al lavoro e, nonostante le promessa di un governo inclusivo, agli inizi di settembre nominano il nuovo esecutivo con a capo Mohammad Hasan Akhund, stretto collaboratore del defunto fondatore del gruppo, mullah Omar.  I Talebani reimpongono una stretta lettura della Sharia, discriminano le donne e sono diverse le azioni contro la minoranza hazara. Il Paese precipita intanto in una crisi economica senza precedenti per mancanza di fondi e circolante, motivo dovuto anche al congelamento dei beni della Banca centrale afgana (circa 9 miliardi) bloccati negli Usa. In aprile 2022 la promessa riapertura delle scuole per le ragazze non avviene ed anzi i Talebani dettano misure più strette sull’abbigliamento femminile. A dicembre 2022 i Talebani arrestano cinque donne che partecipavano a una protesta nella capitale afgana, Kabul, contro il divieto di frequentare le università. Arrestati anche tre giornalisti. Le ragazze sono già state escluse dalla maggior parte delle scuole secondarie: il nuovo divieto è stato attuato con effetto immediato dal ministro dell’istruzione che ha diramato l’ordine alle università pubbliche e private di vietare alle donne la frequenza.

Profughi, sfollati, rifugiati

Da molti anni il paese è vessato da numerosi conflitti e caratterizzato quindi da importanti ondate migratorie. Dall’invasione sovietica degli anni ’80 fino a quella statunitense conclusasi l’anno scorso, è stato per decenni oggetto di mire esterne, per via della sua posizione geografica di collegamento tra l’Asia e centrale e il Medio oriente. A questo si aggiungono i numerosi conflitti interni, dovuti anche all’incidenza di gruppi estremisti.

Il paese è inoltre fortemente esposto agli effetti avversi dei cambiamenti climatici come il gelo invernale. La siccità che lo caratterizza contribuisce a sua volta a generare carestie, insicurezza alimentare e quindi, indirettamente, anche instabilità politica e disordini sociali. Infine, negli ultimi anni si sono succeduti diversi devastanti terremoti.

Nel 2022 i rifugiati afghani hanno raggiunto la cifra di 2,7 milioni e si tratta del terzo dato più elevato dopo quello siriano (6,8 milioni di rifugiati) e venezuelano (4,6 milioni). Inoltre, la cifra comprende solo i profughi registrati all’estero – che nel caso dell’Afghanistan sono principalmente ospitati nei due paesi confinanti, Pakistan e Iran. Sempre secondo le stime, altri 3,5 milioni di persone non avrebbero oltrepassato i confini nazionali, rientrando nella categoria degli sfollati interni. L’alto commissariato Onu per i rifugiati afferma anche che a giugno 2022 circa la metà di tutti gli abitanti del paese dipendono dagli aiuti umanitari (circa 24 milioni di persone). Essendo l’Afghanistan un paese mediamente molto giovane, tantissimi sono bambini.

Bibliografia, linkografia, filmografia
1. Ahmed Rashid, Talebani. Islam, petrolio e il grande scontro in Asia Centrale, Feltrinelli, Milano, 2001
2. Carlo Degli Abbati, Olivier Roy, Afghanistan: l’Islam afghano dalla tradizione alla radicalizzazione talibana (871-2001), ECIG, Genova, 2002.
3. Fabio Geda, Nel mare ci sono i coccodrilli. Storia vera di Enaiatollah Akbari, Italia, Baldini Castoldi Dalai Editore 2010
www.ecoi.net
16 days in Afghanistan di Anwar Hajher (2007), documentario 60’
Viaggio a Kandahar di Monsen Makhmalbaf (2001), fiction 85’

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