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di Gianfranco Schiavone

Il sistema italiano d’accoglienza per i richiedenti asilo e rifugiati politici presenta elementi positivi e negativi inseriti in un quadro normativo fragile e frammentato. Convivono scelte “liberali” e chiusure che si muovono nell’opposta direzione.

"Immigrati libici"

Basti pensare alla cosiddetta “emergenza Nord Africa” per la quale, quasi miracolosamente, è aumentato in brevissimo tempo il numero di posti di accoglienza, anche se in molti casi tali posti non erano affatto idonei come le sistemazioni in albergo per lunghi periodi. Ora, per quanti sono entrati in Italia in seguito all’“emergenza Nord Africa”, si va verso il riconoscimento generale di uno status di “protezione umanitaria” riconoscendo tardivamente che vi sono (ma vi erano fin dal loro arrivo) le condizioni giuridiche per l’applicazione di quanto previsto dall’art. 6 comma 6 del testo Unico sull’Immigrazione. Questo riconoscimento generalizzato di protezione non significa affatto che che l’Italia sia diventata il paradiso del rifugiato, bensì rimane un paese dalla politica ambigua verso l’asilo, senza un piano di lungo respiro, senza politiche strutturali, che assume di volta in volta decisioni improvvisate, che possono andare in un verso o nell’altro, verso apertura e accoglienza, come verso una chiusura rigida. La gestione dell’emergenza nord-Africa mette altresì in piena luce come le commissioni territoriali per l’asilo, fortemente carenti sotto il profilo dei requisiti di competenza previsti dal diritto europeo, non operino altresì in condizioni di sostanziale indipendenza dal potere esecutivo, bensì siano fortemente condizionate ed “usate” da quest’ultimo ora che sono “invitate” dal Governo ad effettuare una revisione sostanzialmente finta, avente come unico esito il riconoscimento della “protezione umanitaria”, mentre spettava all’esecutivo assumere con propria iniziativa tale decisione, che veniva sollecitata da oltre un anno.

L’Italia non ha una politica per l’asilo e si fa confusione a tutti i livelli tra flussi migratori e rifugiati politici. Non ci si è ancora resi conto che un rifugiato ha bisogno di un percorso di accompagnamento anche dopo il riconoscimento del suo status. Nel recente studio “Il diritto alla protezione” emerge con chiarezza che oltre il 60% dei titolari di protezione rimane privo di qualche forma di accoglienza successiva al riconoscimento della protezione, sia che si tratta di protezione internazionale che umanitaria. Questo fa sì che tutte queste persone si trovino in grande difficoltà fino ad arrivare a situazioni di disagio estremo, come il vivere per la strada. Eppure queste persone sono portatrici di diritti ben definiti a livello normativo: l’ articolo 27 del Dlgs 251/08 recita: “I titolari dello status di rifugiato e dello status di protezione sussidiaria hanno diritto al medesimo trattamento riconosciuto al cittadino italiano in materia di assistenza sociale e sanitaria”.

Ciò che più colpisce è la mancanza di serie ed articolate proposte di riforma (che però trovano largo spazio nel citato studio) , sia per ciò che riguarda le inadeguatezze della procedura di esame delle domande, sia (e soprattutto direi) per ciò che riguarda il sistema di accoglienza, oggi più che mai disorganico. Ma la questione è anche “culturale”. Il tema dell’asilo politico non riesce ad essere un grande tema nazionale che smuova le coscienze, non ci sono grandi campagne o testimonial importanti come invece è accaduto per altre situazioni critiche a livello nazionale o internazionale.

Si rischia così una privatizzazione dei servizi, con persino rischi di “balcanizzazione”: fondi “speciali”, accordi con alcune città e non con altre, bandi per finanziamenti indifferenziati e senza alcuna organicità, mancato riconoscimento e valorizzazione di sperimentazione e pratiche che invece funzionano bene etc. Questo quadro determina un arrembaggio alle scarse risorse, anche, sottolineo, in buona fede. Mi pare importante che il terzo settore che si sta dando da fare seriamente nelle diverse regioni italiani comunichi sempre di più e crei rete. Oggi questi gruppi, associazioni, cooperative stanno facendo un enorme lavoro di supplenza, un lavoro legittimo, quando non si può fare diversamente, ma che deve cessare non appena le istituzioni si muoveranno.

Tutti si augurano che ci sia, già con la nuova legislatura del 2013 un clima più aperto e meno ostile rispetto al diritto d’asilo rispetto alle incredibili durezze ideologiche cui abbiamo assistito negli ultimi anni che hanno altresì trascinato l’Italia dinnanzi alle corti internazionali. La mia impressione però è che a livello politico, su questo tema, non si abbia un’adeguata consapevolezza della necessità di dovere andare ad una riforma della normativa sull’asilo. Ad esempio nella mia esperienza personale dopo la pubblicazione “Diritto alla protezione” non ho assistito, anche nel “Tavolo Asilo” a un forte ed articolato dibattito sulle prospettive di riforma. La situazione pare come un po’ ibernata, e ciò è molto pericoloso perché se è ben vero che molte cose sono avvenute in Italia in questo campo e non siamo più all’anno zero del diritto d’asilo, le contraddizioni e gli aspetti critici del sistema italiano dell’asilo stanno rapidamente aumentando. Proprio per questa ragione non deve mancare la “massa critica” di quanti hanno a cuore questo tema per poter giungere quanto prima nella prossima legislatura ad una riforma della normativa sia in materia di accoglienza ed inclusione sociale dei rifugiati che di procedure di esame delle domande di protezione.

 

 

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1 commento

  1. Sono insegnante al Ctp di Chieri stiamo cercando di far frequentare i ns corsi ai somali rifugiati che sopravvivono in cso Chieri a Torino ,ma dovendo prendere il bus per raggiungere la scuola spesso vengono fatti scendere,multati e quindi per ora hanno rinunciato . Ovviamente non hanno i soldi per pagare il biglietto. Non è che c’è un diritto all’integrazione linguistica e alla formazione?


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