La piccola città piemontese si confronta da agosto con l’arrivo di numerosi richiedenti asilo soprattutto pakistani, entrati in Italia via terra. Le risposte di istituzioni e società civile. E qualche puntualizzazione: perché si arriva a chiedere asilo a Biella per una sorta di passaparola? «Forse perché qui agli arrivi via terra si cerca di dare risposte che si dovrebbe dare anche altrove. Il “problema” non siamo noi, ma chi non fa lo stesso…».
«Gestendo la mensa di via Novara e il dormitorio “Borri” in vicolo del Ricovero, da agosto abbiamo iniziato a registrare l’arrivo di migranti pakistani e afghani via terra che presentavano domanda d’asilo in Questura: da due a cinque persone al giorno, per Biella un flusso piuttosto significativo. I primi arrivati sono stati inseriti nei CAS. Poi i posti si sono esauriti, i richiedenti hanno continuato ad arrivare. Numeri non certo da “invasione” e però insoliti per una città come la nostra: il dormitorio “Borri” ha solo 20 posti… Ma il territorio ha saputo dare una buona risposta, perché nessuno si ritrovasse a dormire all’aperto, se non, magari, una notte se arriva di sera. Così è stata aperta una struttura di 50 posti in uno stabile messo a disposizione dal Comune, quello degli uffici ex ATAP, con fondi della Prefettura…».
Richiedenti asilo “via terra”: cioè quelli che non approdano sulle coste del Sud, e “quindi” restano tagliati fuori dal sistema d’accoglienza istituzionale che ha preso forma in questi anni di “emergenza”. Vie di fuga ha già presentato la situazione di Torino e Trieste. Oggi, ad aggiornare sulla situazione di Biella è Daniele Albanese, referente dell’area Internazionale-immigrazione della Caritas diocesana biellese.
“Nessuno a dormire senza un tetto”
«A novembre abbiamo poi aperto una seconda mensa presso la parrocchia di San Biagio – continua a Albanese -. E con l’arrivo del freddo si è attivata una rete di ospitalità per una cinquantina di persone fra Caritas, parrocchie, Seminario e santuario di Oropa, perché nessun richiedente fosse costretto a dormire senza un tetto».
A dicembre, per l’“emergenza freddo”, ai 20 posti del dormitorio “Borri” se ne sono aggiunti altrettanti presso l’istituto “Belletti Bona”.
Nell’ex sede ATAP il contributo della Prefettura è di 21 euro a persona con assistenza notturna, colazione e cena, docce più un cambio vestiti. Ancora Albanese: «Certo non c’è il pocket money, né l’assistenza legale né altri servizi, cioè non si è potuto andare oltre una sorta di “estensione” del dormitorio in attesa di inserimento nei CAS. Insomma, nel complesso rimane un’accoglienza a livelli differenziati rispetto al progetto SPRAR (che a Biella ha 28 posti) e gli stessi CAS. Però abbiamo cercato di fare la nostra parte per venire incontro ai bisogni urgenti delle persone. E, nel frattempo, cerchiamo di lavorare a livello istituzionale e “politico”, per una reale presa in carico di chi ne ha diritto: tra l’altro, come Caritas non partecipiamo ai bandi CAS, non vogliamo sostituirci allo Stato, che ha le sue responsabilità…».
Solo in queste settimane da Biella è partito un pullman di 20 richiedenti asilo verso Settimo Torinese, «per un inizio di condivisione della presa in carico nelle altre strutture della regione. Questo è stato un segno importante, perché, va detto, non deve essere Biella a farsi carico di tutti coloro che stanno facendo domanda d’asilo in questa Questura, ma un autentico sistema regionale. Invece, ad oggi, se sbarchi nelle regioni del Sud entri subito in un centro di accoglienza, mentre se arrivi via terra rischi di rimanere all’aperto per mesi, prima di avere un tetto».
“Il ‘problema’ non siamo noi…”
“Via terra”, a Biella, significa perlopiù arrivare da Milano. Dopo aver attraversato l’Iran, la Turchia, i Balcani e aver passato la nostra frontiera nel Nordest. «A dicembre abbiamo registrato un rallentamento degli arrivi, forse perché Torino e Milano hanno aperto i servizi delle “emergenze freddo”. Ma ogni giorno una o due persone arrivano sempre».
Oggi nel Biellese si contano circa 600 migranti in accoglienza, fra cui 150 pakistani. Forse unica provincia in Italia, a novembre quella di Biella, con 180 mila abitanti, aveva già raggiunto la sua “quota” di migranti da accogliere.
«Sappiamo che si arriva a chiedere asilo a Biella via terra per una sorta di passaparola. Ma perché? Di sicuro non siamo su una rotta migratoria particolare. La Questura è veloce con le pratiche, però la situazione è simile anche altrove, tranne Torino e Milano. Forse il motivo sta nel fatto che a Biella si cerca di dare risposte che si dovrebbe dare anche altrove. A partire da chi si accoglie in dormitorio: noi siamo aperti a tutti, altrove si va per categorie… Ci vorrebbe un coordinamento più ampio, applicando davvero la normativa. Il “problema” non siamo noi, ma chi non fa lo stesso».
Collegamento
Lettera aperta sull’accoglienza della Caritas di Biella (novembre 2015)
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Arrivi a Torino via terra? Benvenuto alle Porte Palatine (e per gli sviluppi della vicenda Accoglienza in Piemonte: vademecum & promemoria)
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