Alla vigilia del voto per la conversione in legge del cosiddetto decreto sicurezza n. 113 del 4 ottobre, l’appello ai parlamentari delle associazioni e degli organismi ecclesiali.
«Ci rivolgiamo ai senatori della Repubblica perché si adoperino, in queste ultime e brevi ore di dibattito parlamentare, a migliorare le norme sottoposte al loro scrutinio. Per il bene del Paese e la sicurezza di tutti non conviene aumentare l’irregolarità, ma rafforzare i percorsi di integrazione». È l’appello che vari organismi e associazioni, Fondazione Migrantes, ACLI, Centro Astalli, Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII, Casa della Carità di Milano, Caritas Italiana, Comunità di Sant’Egidio, FCEI (la Federazione delle Chiese evangeliche) e Tavola Valdese hanno lanciato ieri al profilarsi del voto di fiducia in Senato per la conversione in legge del cosiddetto decreto sicurezza (il n. 113 del 4 ottobre).
Il decreto, denunciano le realtà firmatarie, «introduce nella sua prima parte radicali cambiamenti nella disciplina dell’asilo, dell’immigrazione e della cittadinanza, alcuni dei quali sono stati aggiunti mediante emendamenti che induriscono ulteriormente un’iniziativa legislativa già molto aspra».
140 mila titolari di protezione umanitaria rischiano di cadere o di ricadere in una condizione di irregolarità e quindi di povertà estrema, di marginalità e di devianza.
I nuovi permessi di soggiorno “per casi speciali” «sono configurati come autorizzazioni estremamente precarie». Ma così «si va generando in nome della sicurezza un inasprimento della disciplina del soggiorno che aumenterà la propensione all’illegalità e renderà più fragile la coesione sociale anche per le famiglie italiane, mentre per le imprese diverrà più difficile reperire legalmente manodopera giovane e motivata, ad esclusivo vantaggio dei pochi imprenditori disonesti e della criminalità organizzata».
Ancora, i firmatari guardano «con grande preoccupazione allo smarrimento del senso di equilibrio e di moderazione nelle politiche sull’immigrazione, sostituito dal compiacimento per gesti e segnali di durezza che tuttavia, producendo sofferenza, non risolvono i problemi ma li acuiscono». In particolare, preoccupa l’aumento di spese per la detenzione amministrativa degli stranieri in condizione di irregolarità fino a 180 giorni, contro gli attuali 90.
Mentre invece il governo ha sottovalutato le politiche di promozione dell’integrazione, sottraendo loro intelligenza politica e investimenti. «La stessa protezione internazionale viene mortificata con procedure «che paiono avere l’unico obiettivo della celerità, senza garantire un ascolto adeguato, senza alcuna certezza di un giusto procedimento e in diversi casi senza nemmeno consentire l’ingresso e l’ospitalità del richiedente asilo sul territorio nazionale».
Cittadinanza: le umiliazioni delle nuove norme«Ci preoccupa la grave involuzione di civiltà giuridica esercitata riguardo alle procedure per l’acquisto della cittadinanza (previste dal decreto 113, ndr). In un Paese che ha fatto della trasparenza e della regolamentazione dei tempi procedurali (determinati ordinariamente in un massimo di 90 giorni) i suoi due basilari obiettivi di riforma della pubblica amministrazione, si colora di toni fortemente discriminatori la decisione di determinare in ben 48 mesi il termine procedurale per la definizione delle domande di acquisto della cittadinanza da parte di persone residenti in Italia già da molti anni. Le esigenze di onestà, trasparenza e buon andamento della pubblica amministrazione vengono così umiliate dall’eliminazione dell’obbligo a rispondere con un minimo di sollecitudine ad una domanda che dovrebbe ritenersi di grande importanza sia per il richiedente sia per la grande comunità dei cittadini» (dall’appello del 5 novembre). |
Collegamenti
L’appello completo (file .pdf)
Alla fine prende posizione anche l’UNHCR: un decreto “a rischio” (nota del 5 novembre 2018)
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