Nel solo ottobre 2020 gli operatori del Danish Refugee Council in Bosnia hanno registrato 1.934 respingimenti sommari di migranti dalla Croazia, il dato mensile più alto mai osservato. Nello stesso mese si è registrata la percentuale più alta di migranti respinti che denunciano di aver subito violenze fisiche: il 64% del totale, due su tre. Gianfranco Schiavone (ICS e ASGI ): «Mancano le parole, nel trattare della rotta balcanica. Avvicinarsi a questo tema significa avvicinarsi a un vero e proprio sistema di violenza. Solo che questo sistema di violenza non sta in Paesi “terzi”, parliamo della nostra Unione Europea».
Prove che si accumulano sulle violenze delle forze di polizia croate contro i migranti che hanno appena attraversato il confine con la Bosnia. La dura lettera che Dunja Mijatović, bosniaca, commissaria per i diritti umani del Consiglio d’Europa ha inviato una settimana fa al presidente del Consiglio dei ministri e al ministro per la Sicurezza della Bosnia-Erzegovina. E le condizioni di vita inumane del campo “temporaneo” di Lipa, sempre in Bosnia, nel cantone di Una-Sana.
Solo cronache da Paesi un po’ particolari? «No. Mancano le parole, nel trattare della rotta balcanica. Avvicinarsi a questo tema significa avvicinarsi a un vero e proprio sistema di violenza. Solo che questo sistema di violenza non sta in Paesi “terzi”, parliamo della nostra Europa, e dell’Unione Europea», ha detto Gianfranco Schiavone, presidente dell’ICS di Trieste e membro del direttivo dell’ASGI, in un intervento sulla “rotta” migratoria che attraversa i Balcani occidentali in occasione della recente presentazione del Report 2020. Il diritto d’asilo.
Le situazioni che accomunano tutti i Paesi dell’area sono quattro, ha riassunto Schiavone. Prima fra tutte, i respingimenti da Paesi UE a Paesi non UE, da un Paese all’altro. Poi la logica dei campi di confinamento («questo sono, non possiamo chiamarli campi profughi: le persone non vi sono parcheggiate ma scaricate», e con fondi dell’UE). Terza situazione comune, l’ostilità verso i pochissimi che presentano richiesta d’ asilo: («in questi Paesi i riconoscimenti sono quasi risibili, c’è una logica di rifiuto e respingimento che colpisce»). Infine, quarta, la mancanza di programmi di integrazione sociale per i pochissimi a cui viene riconosciuta protezione.
Però il punto chiave è la violenza dei respingimenti alle frontiere. Continua Schiavone, che per il Report 2020 è autore del contributo La rotta balcanica: un sistema di violenza nel cuore dell’Europa: «Dal 2018 la rotta ha piegato verso la Bosnia e la Croazia dopo la chiusura ermetica dell’Ungheria (un altro Paese UE…), e rapporti di Amnesty (nel 2018) e del Danish Refugee Council (di questo ottobre) hanno descritto una situazione terribile: respingimenti sistematici dalla Croazia senza procedura legale e attuati con brutalità, con l’uso di coltelli, spranghe, tortura, corrente elettrica, depredazione di oggetti, persone lasciate senza vestiti nella neve».
Sono ormai fatti documentati, non ipotesi, che però continuano a restare impuniti, anche se, timidamente, alcune istituzioni dell’UE hanno iniziato a farsi sentire. Ma nel 2020, e in particolare quest’autunno, i respingimenti dalla Croazia alla Bosnia hanno raggiunto un picco.
I NUMERI/ Mai così tanti i respingimenti sommari e le violenze sul confine croato-bosniaco
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Ancora Schiavone: «Sono “solo” azioni causate da un fragile controllo democratico sulle forze di polizia, soprattutto in Croazia? Sarebbe riduttivo fermarsi a questo. Piuttosto, è stato detto che sono violenze “necessarie”, se l’obiettivo è rallentare a tutti i costi, se non impedire, l’ingresso dei rifugiati (infatti quella balcanica è la rotta dei rifugiati per eccellenza: le persone che la percorrono appartengono alle principali nazionalità che si ritrovano nelle statistiche sull’asilo dell’UE, siriani, afghani, iracheni, iraniani). Se li si rimanda solo indietro, domani saranno di nuovo qui. Allora “bisogna” ferire, derubare, terrorizzare…».
Nel 2020, come primo anello dei “respingimenti a catena” è entrata anche l’Italia, con l’espediente delle “riammissioni informali” in Slovenia. La pratica è stata accompagnata da un fatto inaudito: il 24 luglio il sottosegretario all’Interno Achille Variati, rispondendo alla Camera all’interrogazione di un deputato (Riccardo Magi), ha tranquillamente riferito che le “riammissioni” vengono eseguite anche se le persone fermate hanno espresso l’intenzione di presentare domanda d’asilo.
Ciò avviene, precisa ancora Schiavone, «secondo un accordo bilaterale con Lubiana sottoscritto nel 1996, quando la Slovenia non era ancora parte di Schegnen e senza il rilascio di alcun documento: dopo aver subito una violazione perché si tratta di richiedenti asilo, queste persone si ritrovano con nulla in mano, un pezzo di carta, una firma, la responsabilità di qualcuno. Più che di espulsioni dovremmo parlare di deportazioni. Poi passano da una polizia all’altra, dalla Slovenia in Croazia, dalla Croazia in Bosnia a suon di percosse. L’obiettivo è realizzato: espellere persone dall’Unione Europea».
I NUMERI/ Più che quintuplicate le “riammissioni” Italia-Slovenia rispetto al 2019
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