Gli Stati più esposti ai disastri da climate change hanno commentato positivamente il bicchiere “mezzo pieno” servito, a fatica, dalla COP27 di Sharm el-Sheikh. Ma intanto oltre il 70% della popolazione sradicata a livello globale proviene dai Paesi più vulnerabili al clima.
“E’ la prima volta in molti anni che le nostre nazioni non escono da una COP a mani vuote. La COP27 ha preso una decisione storica nell’istituire un fondo per far fronte alle perdite e danni. La decisione risponde a una delle principali richieste del nostro Gruppo negli ultimi decenni”: a parlare è Madeleine Diouf Sarr, presidente del Gruppo dei Paesi meno sviluppati sul cambiamento climatico, l’LDC Climate Change, cioè l’organismo creato dai 46 Paesi fra i più poveri del mondo (e più vulnerabili al riscaldamento globale, pur essendone gli ultimi responsabili) per affrontare insieme i negoziati nell’ambito della Convenzione quadro ONU sul cambiamento climatico.
“Avevamo promesso al mondo che non avremmo lasciato Sharm el-Sheikh senza ottenere l’istituzione di un fondo per rispondere al loss and damage: un compito che durava da trent’anni è stato portato a termine. Abbiamo letteralmente fatto di tutto, qui alla COP27, per portare a casa gli impegni d’azione per il clima di cui i nostri popoli vulnerabili hanno un disperato bisogno“: Molwyn Joseph, ministro di Antigua e Barbuda e presidente dell’AOSIS, l’Alliance of Small Island States che riunisce 39 piccoli Stati isolani o a bassa linea costiera fra Caraibi, Pacifico e oceano Indiano.
I Paesi più esposti ai disastri da cambiamento climatico hanno commentato positivamente il bicchiere “mezzo pieno” servito, a fatica, dalla Conference of parties sul climate change di Sharm el-Sheik che si è conclusa sabato 19, con un giorno di ritardo. Il riferimento è all’accordo sull’istituzione di un fondo per risarcire le “perdite e i danni” (il loss and damage, appunto) che i Paesi poveri subiscono dal clima impazzito, non ultime le migrazioni forzate. L’UNHCR stima, infatti, che oltre il 70% della popolazione sradicata a livello globale sia originaria dei Paesi più vulnerabili al clima.
Sarà operativo fra uno o due anni
In Italia l’associazione A Sud ONLUS, uno degli osservatori emergenti nel settore della formazione sulla sostenibilità ambientale, è stata severa con i “risultati” complessivi di Sharm el Sheik: “Prendere atto dei severi sintomi della malattia – ha commentato -, accettare di curarli ma rifiutandosi di rimuoverne le cause. Potrebbe essere questa la didascalia che definisce le principali conclusioni della COP27”.
E tuttavia, riconosce A Sud, “l’accordo sulla creazione di un fondo per il loss and damage è la principale novità che esce dalla COP27”, anche se questo fondo potrà diventare operativo solo fra uno o due anni. “Serviranno infatti altre tornate negoziali per definire il meccanismo di finanziamento e di distribuzione delle risorse. Ma nonostante il cammino sia appena all’inizio, la decisione è storica”.
Spiega ancora l’associazione: “La trattativa, una delle principali sul tavolo della COP27, è sembrata essere più volte sul punto di saltare. Stati Uniti e Unione Europea hanno inizialmente sostenuto che verso la compensazione del loss and damage potessero essere reindirizzatele risorse previste dal Green climate fund. Soltanto nelle ultime 48 ore c’è stata un’inversione di rotta, a patto che a contribuire al fondo fossero tutte le grandi economie, compresi gli Stati che, nella divisione in gruppi operata nel 1992 alla firma dell’UNFCCC (la sigla inglese della Convenzione quadro dell’ONU sul cambiamento climatico del 1992, ndr), erano qualificati come PVS, Paesi in via di sviluppo: uno su tutti, la Cina”.
Una posizione, quest’ultima, che però ha rischiato di nuovo di trascinare la COP alla débacle negoziale. Ma alla fine si è trovato un compromesso: al fondo loss and damage i Paesi della “lista PVS” della Convenzione quadro potranno contribuire volontariamente, e le risorse raccolte in via prioritaria saranno messe a disposizione delle popolazioni più vulnerabili.
“Anche i rifugiati ai tavoli negoziali del 2023”
Intanto l’UNHCR in questi giorni ha chiesto che anche i rifugiati d’ora in poi possano negoziare direttamente quello che è (anche) il loro futuro. Ha detto Andrew Harper, Consigliere speciale sull’azione climatica dell’UNHCR: “Per la prima volta le voci dei rifugiati e degli sfollati dai Paesi in prima linea nell’emergenza climatica sono risuonate nelle sale della conferenza delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico. Quest’anno alla COP27 rifugiati e sfollati da Sudan, Yemen, Niger e altri Paesi hanno dichiarato che quasi tutti i loro tentativi di adattarsi ai mutamenti dell’ambiente vengono invalidati dalla velocità del cambiamento… Ma ora dobbiamo andare oltre. L’UNHCR chiede l’inclusione delle persone costrette a fuggire nel documento finale della COP27. I rifugiati e gli sfollati sono tra le persone più esposte alla crisi climatica; e molti cercano sicurezza in Paesi che hanno contribuito molto poco al cambiamento climatico e tuttavia hanno meno risorse per adattarsi”.
Così, “le persone costrette a fuggire si aspettano anche di sedere ai tavoli dei negoziati, per assicurarsi che le decisioni che le riguardano non vengano prese senza di loro”.
Almeno la menzione dello “sradicamento” nel documento finale di Sharm el-Sheik è arrivata. Per una vera ammissione ai tavoli delle trattative, invece, l’appuntamento è alla COP28, la Conferenza ONU sul clima che si terrà dal 30 novembre al 12 dicembre 2023 negli Emirati Arabi Uniti.
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