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COP28, i Paesi poveri e il climate change: “Un fondo vuoto non ci aiuta”

Lo ha ricordato nel giorno d’apertura della COP28 di Dubai la presidente  del Gruppo sul cambiamento climatico dei Paesi meno sviluppati. L’impegno unitario del Gruppo. Un incontro di sensibilizzazione sul Bangladesh (uno dei Paesi più esposti ai danni del climate change ma responsabile solo dello 0,5% delle emissioni globali) e una mostra fotografica su persone e comunità in prima linea sul fronte del “loss and damage”, le “perdite e danni” dovute al clima impazzito. A livello globale quasi il 60% degli sfollati si trova nei Paesi più vulnerabili all’impatto del cambiamento.

Pacifico: la sindaca dell’atollo di Likiep, assediato dall’oceano (foto M. Mohammed per la mostra Loss and damage in focus alla COP28 di Dubai).
 
«I progressi che abbiamo fatto nella creazione di un Fondo per le perdite e danni sono estremamente significativi per l’equità climatica, ma un fondo vuoto non può aiutare la nostra gente. Ci aspettiamo che alla COP28 vengano assunti impegni significativi per finanziamenti nuovi e aggiuntivi, con l’obiettivo di garantire che il Fondo perdite e danni possa iniziare a fornire sostegno il prima possibile».
 
(Foto LDC Group).
Lo ha detto Madeleine Diouf Sarr (nella foto), senegalese, presidente del Gruppo sul cambiamento climatico dei Least developed Countries nel giorno d’apertura della COP28 di Dubai sul cambiamento climatico, il 30 novembre.  
 
Riguardo ai fondi per l'”adattamento” (sempre al cambiamento climatico, causa fra l’altro di gravi fenomeni di sradicamento forzato) Sarr ha aggiunto: «È ormai giunto il momento di considerare l’adattamento come una priorità. E invece, la carenza di finanziamenti è notevole: c’è un bisogno immediato di fondi più ingenti e accessibili. Alla COP28 chiediamo chiarezza sui progressi per il raddoppio di questi finanziamenti, nonché di concordare traguardi chiari e ambiziosi per raggiungere l’obiettivo globale sull’adattamento (il n. 13 degli Obiettivi ONU di sviluppo sostenibile, ndr)».
 
Poco dopo, almeno a livello di promesse ha fatto scalpore la decisione, all’apertura della COP di Dubai, di rendere «operativo» il Fondo perdite e danni. Vari Paesi si sono impegnati a finanziare il fondo con un totale di 300 milioni di dollari.
 
Il movimento NRDC (Natural Resources Defense Council) monitora gli impegni dei vari Paesi ricchi, fra cui l’Italia, alla COP28  per il finanziamento dei fondi ONU che aiutano i Paesi “in via di sviluppo” a ridurre le emissioni causa dell’effetto serra e ad affrontare l’impatto del cambiamento climatico: qui la situazione al 5 dicembre.
 
Il Gruppo dei Least developed countries (LDC, sigla inglese dei Paesi meno sviluppati, cioé i Paesi più poveri del mondo) è composto da 46 Stati d’Africa, Asia-Pacifico e Caraibi con una popolazione complessiva di oltre un miliardo di abitanti. «Incredibilmente vulnerabili agli shock ambientali ed economici e colpiti in modo sproporzionato dalla crisi climatica – informa il sito del loro Gruppo sul cambiamento climatico -, i nostri Paesi negoziano come blocco unitario ai colloqui sul clima delle Nazioni Unite». 
 
Sempre a Dubai, nel padiglione del Gruppo LDC è stato organizzato per il 10 dicembre un incontro di sensibilizzazione sul Bangladesh, considerato un Paese “leader” nelle iniziative di adattamento e resilienza, ma che è sempre più vulnerabile a causa dell’innalzamento delle temperature, di siccità e alluvioni, di cicloni, dell’innalzamento del livello marino e della variabilità delle precipitazioni. «Da un decennio il Bangladesh si trova nella lista dei Paesi più vulnerabili al clima, benché contribuisca solo per lo 0,5% alle emissioni globali di carbonio».
 
Alla COP è stata anche organizzata la mostra fotografica “Loss and damage in focus“, dedicata alle persone e alle comunità “in prima linea” sul fronte del cambiamento climatico.
 

L’UNHCR: “Oltre la metà degli sfollati in Paesi vulnerabili”

In questi giorni l’UNHCR, in occasione della COP28 di Dubai, ha chiesto «un’azione immediata e collettiva per affrontare l’impatto senza precedenti del cambiamento climatico e i suoi profondi effetti sulle persone costrette alla fuga e sulle comunità che le ospitano».

In tutto il mondo, spiega l’Agenzia ONU per i rifugiati, «gli effetti a catena del climate change intensificano le difficoltà vissute dalle comunità sfollate. La convergenza di conflitti e cambiamento climatico ostacola la loro capacità di trovare sicurezza, risorse essenziali e mezzi di sussistenza sostenibili».

Quasi il 60% delle persone sfollate nel mondo si trova nei Paesi più vulnerabili all’impatto del cambiamento climatico, quali la Siria, la Repubblica Democratica del Congo, la Somalia, l’Afghanistan e il Mianmar.

 

 

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