Nel decreto-legge approvato dall’ultimo Consiglio dei ministri i Paesi (presunti) “sicuri” scendono da 22 a 19: dalla lista sono stati depennati Nigeria, Camerun e Colombia. Tuttavia anche la nuova norma, avvertono già i magistrati, sarà soggetta a quelle dell’Unione Europea. Ma che cosa significa per un richiedente asilo provenire da un Paese “sicuro”?
Il decreto che ha l’obiettivo di aggirare future sentenze come quella che ha impedito di trattenere 12 richiedenti asilo nel nuovo CPR di Gjader, in Albania, è arrivato a tempi di record, con il Consiglio dei ministri dell’altroieri.
Per il nuovo decreto-legge “Disposizioni urgenti in materia di procedure per il riconoscimento della protezione internazionale“, i Paesi (presunti) “sicuri” scendono da 22 a 19: spariscono (con ottime ragioni) Nigeria, Camerun e Colombia, rimangono (con ragioni molto discutibili) Albania, Algeria, Bangladesh, Bosnia-Erzegovina, Capo Verde, Costa d’Avorio, Egitto, Gambia, Georgia, Ghana, Kosovo, Macedonia del Nord, Marocco, Montenegro, Perù, Senegal, Serbia, Sri Lanka e Tunisia (in 12 dei quali, dopo l’uscita dei tre Paesi esclusi, le “schede Paese” ufficiali riconoscono comunque che esistono parti del territorio o categorie di persone per cui la sicurezza non è garantita).
Per il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi quella sui “Paesi sicuri” ora «diventa norma primaria (la lista precedente era stata stabilita da un decreto interministeriale, ndr) e consente ai giudici di avere un parametro rispetto un’interpretazione ondivaga». Vale a dire, secondo il punto di vista del governo la magistratura non potrebbe più “disapplicarla”.
D’altro canto magistrati come Andrea Natale e Fabrizio Filice, rispettivamente giudici dei Tribunali di Torino e Milano, hanno ricordato come la norma europea rimanga comunque sovraordinata alla norma nazionale: «Il principio di primazia del diritto dell’Unione sul diritto nazionale – affermano i due magistrati – è riferito al diritto italiano nel suo complesso, indipendentemente dalla natura primaria (i.e., di legge ordinaria) o secondaria (i.e., regolamenti governativi) della fonte del diritto nazionale. Quand’anche l’elenco dei Paesi sicuri fosse contenuto, dunque, non più in un decreto ministeriale ma in un decreto-legge, questo non cambierebbe l’obbligo del giudice italiano, in qualità di giudice comune europeo, di disapplicarlo, in caso di acclarato contrasto con il diritto dell’Unione».
Qui il riferimento è alla normativa comunitaria alla base della recente sentenza della Corte di giustizia dell’UE che, a propria volta, è stata punto di riferimento per la sentenza di mancata convalida dei fermi a Gjader da parte del Tribunale di Roma.
“Paese d’origine sicuro”: ecco cosa vuol dire per un richiedente asilo“La designazione come sicuro di un Paese di origine del richiedente asilo comporta conseguenze procedurali particolarmente significative: si applica una procedura accelerata con termini ristretti per la decisione e per l’impugnazione, si inverte l’onere della prova, per cui spetta al richiedente confutare la presunzione di sicurezza del paese, non si applica la norma generale della sospensione automatica del provvedimento di rigetto in caso di impugnazione posta a garanzia del diritto del richiedente – previsto in via generale – a rimanere sul territorio in attesa della decisione. Se, poi, la domanda viene proposta nelle zone di frontiera o di transito (individuate con decreto ministeriale) si applica la cosiddetta “procedura accelerata di frontiera” (fra l’altro, proprio a una “frontiera” si vorrebbe equiparato il nuovissimo CPR di Gjader, ndr), con termini ancora più ristretti per la decisione e l’impugnazione del provvedimento di rigetto” (da Questione giustizia, ottobre 2024). |
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