* di Jacopo Baron
Intervista a Chiara Marchetti, assegnista di ricerca in Sociologia presso l’Università degli Studi di Milano. Autrice e curatrice di diversi volumi rivolti all’approfondimento di tematiche relative a richiedenti asilo e rifugiati, Chiara Marchetti conduce attività di ricerca sulle migrazioni internazionali ed è tra le fondatrici di Escapes – laboratorio di studi critici sulle migrazioni forzate, un progetto del Dipartimento di Scienze Sociali e Politiche dell’Università degli Studi di Milano.
Chiara, cos’è e come nasce il laboratorio Escapes?
Il laboratorio Escapes è nato ufficialmente nel luglio dell’anno scorso. La premessa è stata però l’organizzazione di una conferenza tenutasi qualche mese prima, in aprile, intitolata Attraversare il mediterraneo a due anni dalle primavere arabe: una giornata di studio sulle migrazioni forzate in cui abbiamo provato a “chiamare a raccolta” quegli studiosi e quelle studiose, soprattutto italiani, che per relazioni interpersonali e per letture reciproche sapevamo occuparsi di questi temi condividendo alcune caratteristiche che poi elencherò e che sono in seguito divenute il minimo comune denominatore di chi aderisce al laboratorio. Questa prima conferenza si è tenuta presso l’Università Statale di Milano dove io personalmente ho un assegno di ricerca e dove si è verificata una situazione favorevole perché anche due dottorande, Emanuela Dal Zotto ed Elena Fontanari, si stanno occupando di temi simili. Favorevole perché il fatto di essere in tre a condividere queste tematiche ci ha fatto prendere un po’ di coraggio e, trovata una buona sponda nella struttura del Dipartimento, sono venute a crearsi le condizioni iniziali per la costruzione di un luogo di confronto più ampio. La nostra esigenza nasceva dalla constatazione della mancanza di contesti qualificati in cui potessero confrontarsi innanzitutto i ricercatori che in Italia si occupano di questi temi e in secondo luogo, ma non in subordine, anche persone che invece operano attivamente sul territorio e che quindi svolgono un lavoro operativo e concreto che non sempre dialoga con quello che succede nelle accademie o nelle università.
Quindi si può considerare il laboratorio anche come un tentativo di costruire un collegamento tra accademia e territorio. Il confronto riguarda mondo accademico e centri di accoglienza o è più rivolto all’analisi dei progetti tipo SPRAR?
Ipoteticamente è un confronto a trecentosessanta gradi. Poi nel concreto gli interlocutori più “facili” e anche più ricettivi sono quelli che lavorano negli SPRAR o comunque nei contesti che possiamo definire come un po’ più “qualificati”. Perché di base dev’esserci una reciproca curiosità e spesso sono gli operatori che lavorano in contesti più riflessivi – quali possono essere appunto quelli degli SPRAR – che hanno un atteggiamento più votato alla ricerca, all’approfondimento, alla formazione e all’auto-formazione – questo per esperienza –. Nulla toglie che saremmo ben contenti se anche il “mondo dei CARA” si avvicinasse e partecipasse con fare umile al confronto.
L’altro aspetto importante evidenziato dalla prima conferenza è stato quello dell’emergere, a seguito delle primavere arabe e quindi anche dell’Emergenza Nord Africa, di nuovi punto di vista teorico-analitici e di nuovi attori che si affacciavano per la prima volta in questi territori di ricerca – alcuni in modo anche sprovveduto – con gli addetti “storici” che li guardavano con un misto di sospetto quando non di aperta ostilità. Quindi con la prima conferenza si è palesata una tendenza prima non… diciamo “teorizzata” ma poi divenuta caratteristica esplicita del laboratorio: la dimensione “generazionale”. Nel senso che una delle cose di cui ci siamo resi conto è che uno dei motivi per cui dentro il grande dibattito sulle migrazioni questo “sotto-tema” delle migrazioni forzate e dei rifugiati trova in Italia poco spazio è che si tratta di una tematica per certi versi, almeno per il nostro paese, più recente, della quale si occupano principalmente ricercatori, studiosi giovani e perlopiù non strutturati. Quindi c’era un deficit di contesto di confronto legato anche a questo, cosa che ha portato alla necessità di crearne uno ex-novo perché a livello universitario-istituzionale per vari motivi – non ultimi anche questi della relativa novità del tema e dello scarso peso di chi se ne occupa – rischiava di rimanere trascurato.
C’è poi stata una serie di circostanze favorevoli che hanno permesso secondo me un’accelerata nella concretizzazione del progetto: una delle più importanti è stata sicuramente data dal fatto che il Dipartimento di Scienze Sociali e Politiche dell’Università degli Studi di Milano ha sempre dimostrato aperto sostegno e ampia disponibilità nel dare una sponda istituzionale al laboratorio, che quindi mantiene tutta la sua autonomia avendo, al tempo stesso, un importante sostegno. Tale sostegno conferisce al laboratorio la dignità istituzionale che deriva dal suo essere parte di un contesto universitario e concretamente si traduce in un finanziamento che, seppur piccolo, ha permesso l’organizzazione dei seminari e della conferenza del prossimo aprile. La prima dimostrazione effettiva di questo sostegno è stata la delibera rilasciata dal Dipartimento nel luglio scorso, che di fatto ha ufficializzato la nascita di Escapes, Laboratorio di studi critici sulle migrazioni forzate.
Lunedì 17 febbraio, a quasi un anno di distanza da Attraversare il mediterraneo avete tenuto, questa volta come Escapes, un nuovo seminario: pensi che quest’ultima esperienza rispecchi ciò che vi eravate proposti al momento di tracciare le linee guida del laboratorio o hai riscontrato nuovi sviluppi, magari imprevisti?
Noi abbiamo agito, da subito, in due direzioni: una era quella data dalla necessità di ampliare la rete. Inizialmente in modo molto pragmatico si era andati per amicizia, per passaparola. Poi di fatto, avendo anche dall’altro lato la sponda pubblica del sito che, per quanto ovviamente da migliorare, fa un po’ da vetrina, abbiamo constatato anche una sorta di “diffusione virale” del laboratorio. Si è perciò cercato questo allargamento della rete, che a oggi consta concretamente di una quarantina di aderenti. Si tratta di per lo più di ricercatori che stanno in Italia ma ce ne sono alcuni che lavorano all’estero, in Canada, in Germania, in Belgio, in Francia, in Olanda. Per quanto riguarda l’altra direzione ci siamo detti che le energie da spendere dovevano concentrarsi, per questa prima fase, soprattutto nel creare momenti, come i seminari, in cui consolidare questa conoscenza rendendola comune. Ad oggi di seminari ne abbiamo fatti tre – quello di lunedì era il terzo. Il primo, svoltosi nel settembre 2013, era incentrato soprattutto sul regolamento Dublino III e su di una riflessione generale sul sistema Dublino. Ce n’è stato poi un altro che aveva più a che fare con la Sicilia e l’accoglienza subito dopo gli sbarchi, con due approfondimenti su Siracusa e su Trapani, e poi c’è stato quello di lunedì 17 febbraio 2014 che riguardava la presentazione di una ricerca svolta in Puglia sia nei CARA che negli SPRAR.
Questi seminari sono stati effettivamente, almeno per quelli che sono i miei criteri, dei momenti molto proficui sia in termini di partecipazione – essendo la mattina in università non richiamano grandi folle, però all’ultimo incontro c’erano trentacinque persone – che in termini di confronto. Dopo le presentazioni dei relatori principali si è sempre creato un dibattito molto vivo in cui si sono alternate voci di altri ricercatori. Fino ad ora ne siamo usciti sempre soddisfatti perché si è creato un dialogo che da un lato metteva dei punti fermi in termini di ricerca e dall’altro dava anche nuovi strumenti ai ricercatori e agli operatori, in minoranza numerica ma sempre comunque molto qualificati.
Ad esempio abbiamo scelto come discussant Andrea Torre che è il direttore del centro Medì di Genova – ed è quindi nella ricerca – ma è anche il sindaco di un piccolo comune ligure che ha sempre fatto progetti SPRAR. Torre è potuto quindi intervenire con cognizione di causa anche su aspetti più pragmatici.
Possiamo quindi dire che questi momenti di dialogo, che uniscono competenze diverse, si stanno confermando sempre più come l’ossatura principale delle attività del laboratorio, almeno per quanto riguarda questa fase.
Ad aprile dovrebbe tenersi la prima conferenza organizzata da Escapes. Si può già dire qualcosa a proposito dei contributi scelti?
Questa conferenza conferma quello che dicevo prima nell’ottica dell’allargamento: da tre organizzatori, coinvolti nella conferenza dell’anno scorso, siamo ora in sei. Oltre a me e alle due dottorande, tutte del Dipartimento di Scienze Sociali e Politiche, ci sono due ricercatori dell’Università di Milano Bicocca e un ricercatore, come noi della Statale, che è del Dipartimento di Beni Culturali ed Ambientali, un antropologo. E’ stato utile avere queste forze in più perché ci hanno permesso di immaginare una conferenza abbastanza corposa.
Il titolo che abbiamo scelto è Transiti, barriere, libertà. Cercare rifugio nel Mediterraneo e in Europa. È un titolo per certi versi generico, ma che in quel “transiti, barriere, libertà” è trasmesso il nostro desiderio da un lato di approfondire, dall’altro di relativizzare le categorie classiche delle migrazioni forzate e la lettura che ne viene data. Le migrazioni sono lette sempre in chiave più o meno emergenziale, concentrandosi molto sul momento in cui le persone arrivano in Italia, perdendo di vista i luoghi di origine e gli spostamenti – privilegiando in sostanza una visione piuttosto “sedentaria” che pone l’accento esclusivamente sul momento dello sbarco. A noi questo non può bastare. Vorremmo approfondire in maniera più trasversale i contesti sia dei paesi di origine che di quelli di transito e allo stesso tempo, relativizzarli, per cui dire che contemporaneamente il maghreb è sì una zona di transito ma anche di destinazione o viceversa che l’Italia è un paese di destinazione ma anche una zona di transito per il Nord Europa e quindi provare un po’ a smontare e ricostruire questi viaggi.
Abbiamo fatto una Call for papers e abbiamo chiesto contributi sempre nell’ottica di “allargare il giro” e devo dire che siamo rimasti abbastanza sorpresi perché sono arrivate più di cinquanta proposte d’intervento molto diverse, sia in termini disciplinari – per cui contributi di sociologi, antropologi, giuristi, politologi, storici, psicologi, geografi, architetti…. – che in termini di provenienza geografica, con molti contributi di studiosi che vivono all’estero. Data questa forte adesione è poi cominciato il dramma della selezione perché comunque non era pensabile tenerli tutti. Proprio in questi giorni stiamo definendo il programma ma penso che la prima giornata della conferenza [il pomeriggio di giovedì 10 aprile] sarà tenuta in plenaria con due focus, due approfondimenti diversi: per quanto riguarda il primo abbiamo scelto di dedicare un’intera sessione alla crisi siriana e ai rifugiati siriani. Un po’ perché era un nostro focus di attenzione che però non ha trovato risposta nei papers, probabilmente perché trattasi di una crisi troppo recente. Ad ogni modo non ce la sentivamo di soprassedere perché comunque oggettivamente rispetto alla situazione attuale è il grande “non detto” anche in Italia: l’anno scorso quella siriana è stata una delle nazionalità in assoluto prevalente negli sbarchi eppure se ne è parlato e se ne parla pochissimo, e se se ne parla poco rispetto all’Europa probabilmente se ne parla ancora meno rispetto a quello che sta succedendo in Medio Oriente, sia in Siria in senso stretto sia nei paesi limitrofi. Quindi stiamo cercando di ottenere due tipi di contributi: uno più europeo – interverrà Marlene Garlick, ricercatrice dell’UNHCR, che sta approfondendo il rapporto Europa-Siria e la scarsa presa di responsabilità europea rispetto alla crisi siriana, soprattutto rispetto ai rifugiati – e uno più mediorientale, per il quale avremo una o due voci – probabilmente quelle di una ricercatrice libanese e di una ricercatrice egiziana che si stanno occupando dei rifugiati siriani scappati e accolti, anche con gravi difficoltà, nelle aree limitrofe.
Dopodiché abbiamo scelto di fare una tavola rotonda più di tipo “istituzionale” che vedrà il dialogare di diversi attori – quelli che abbiamo invitato fanno parte del Servizio Centrale, dell’UNHCR e probabilmente ci saranno anche esponenti del Coordinamento Regionale Asilo Lombardia e di Borderline Europe che ha sede Sicilia – con l’idea di fare una specie di bilancio ma anche di attrezzare un rilancio rispetto alla realtà ancora monca del sistema di asilo in Italia, nel tentativo di bilanciare tra emergenza e sistema.
Il giorno dopo, venerdì 11 aprile, si farà una nuova piccola plenaria per aprire la giornata che si terrà questa volta in Bicocca – giovedì si è in Statale. Questa vedrà l’intervento di Nando Sigona, un affermato studioso italiano che lavora all’Università di Birmingham e che aderisce al laboratorio, il quale svilupperà il tema della libertà soffermandosi sulla questione dell’agency dei rifugiati.
Da lì in poi, quindi dalle 11 di venerdì, avranno inizio invece i panels che saranno in parte anche in parallelo tra loro, per cercare di coinvolgere più contributi possibili. Abbiamo fissato sette panels in tutto, che si protrarranno fino al tardo pomeriggio e che abbiamo costruito a partire dai contributi che ci sono arrivati. Quindi non sono contenitori prefabbricati ma, ovviamente rimanendo all’interno delle tematiche della conferenza si avranno panels più orientati all’accoglienza, con altri che esplorano il fenomeno dei transiti europei…
…e comunque tutti i panels raccolgono più contributi?
Sì, ciascuno ha tre o quattro contributi. Ho qui alcuni titoli dei panels, per dare un’idea: Aree di crisi, quindi di nuovo una dimensione più legata ai contesti di origine… Istituzioni della frontiera, in cui si ragiona di più sulle barriere fisiche rappresentate dai confini, Dispersioni e transiti europei, Contese mediterranee… insomma a vedere il progetto siamo molto soddisfatti.
Abbiamo fatto anche delle scelte, che forse sembrano secondarie, ma che fanno capire un po’ la filosofia del laboratorio. Ad esempio la gran parte delle conferenze scientifiche a livello internazionale prevedono per prima cosa il pagamento di un’iscrizione da parte di chi partecipa, compreso chi deve parlare. Questa cosa può avere un senso nella misura in cui, almeno per quanto riguarda gli speakers, si ha un’istituzione alle spalle che sostiene le spese. Dato che, come ti dicevo all’inizio, ci siamo resi conto che la condizione di “free-lance” è diffusa non solo tra noi già noti ma anche tra molte delle persone che hanno partecipato alla call for papers, abbiamo pensato – e la possibilità di farlo ci è stata data tramite il sostegno economico offerto dai Dipartimenti – di pagare almeno le spese di viaggio di chi non ha appunto un’istituzione che può garantirglielo e di non far pagare l’iscrizione a nessuno, mantenendo una soglia di accesso molto bassa. Questo anche perché ribadisco che non ci interessa solo il mondo dei cosiddetti ricercatori ma anche quello degli operatori e quindi è chiaro che il dover versare un contributo rappresenterebbe una barriera in più. Abbiamo perciò cercato di costruire una conferenza che mantenesse il rigore, attraverso la call for papers e altri schemi, del dibattito scientifico ma che tenesse conto anche della situazione effettiva di chi si occupa di questi temi. Quando poi apriremo le iscrizioni per il pubblico, cosa che dovrebbe avvenire a breve, sonderemo la disponibilità di eventuali divani da offrire ai partecipanti! Ecco la filosofia è un po’ questa: mantenere la qualità e il livello del dibattito ma allo stesso tempo introdurre delle “innovazioni” dettate dalla situazione attuale.
Il Laboratorio quindi, se ho ben capito, raccoglie contributi diversi ma comunque tutti provenienti da ricercatori o da operatori… pensi che in futuro possano essere coinvolti anche gli studenti, magari con una parte del laboratorio organizzata in modo più simile a quello costruito a Torino dal Coordinamento Non Solo Asilo?
In realtà è dal primo incontro che abbiamo parlato del “modello Torino”. In realtà credo ci siano due livelli sui quali è possibile agire: uno “base”, oneroso sul piano del lavoro ma non sul piano economico che corrisponde al migliorare il servizio svolto dal sito dove in realtà per adesso siamo un po’ indietro ma nel quale abbiamo comunque cominciato a costruire una categoria che si chiama “materiali” nella quale ci sono delle singole voci quali campi, confini, emergenze, integrazioni, irregolarità, numeri, origini, spazi urbani, storie… dove stiamo cercando di inserire delle bibliografie ragionate comprese, quando è possibile, di link diretti ai testi e divise anche per pubblicazioni scientifiche, rapporti, rassegna stampa e multimedia. Questo ovviamente non è direttamente o necessariamente pensato per gli studenti però ci siamo resi conto che per ciascuno di noi che segue tesisti o che ha comunque a che fare con il mondo della formazione spesso diventa un bell’aiuto, anche e soprattutto per gli studenti. L’altro livello su cui sicuramente ci piacerebbe lavorare è quello della proposta formativa universitaria… ma diciamo che ne stiamo ancora sondando la fattibilità. Un ulteriore livello, per il quale avremo a breve un incontro con il Servizio Centrale, avrebbe più a tema la formazione degli operatori. Quindi le cose potrebbero convivere, come succede a Torino, oppure svilupparsi in modo indipendente… siamo ancora in fase di perlustrazione.
Bene, grazie di tutto e buona fortuna per la conferenza. A quando la pubblicazione del programma?
Prego. Il programma lo si può reperire online cliccando al seguente link: Transiti-barriere-libertà-3
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